Leggende e aneddoti delle coste massesi

lo scoglio del Vervece

3 leggende relative a Crapolla

Sardella: Massa o Puolo?

Punta della Campanella


lo scoglio del Vervece

Localmente detto 'o Revece, è certamente un simbolo di Massa, circa un miglio al largo di Marina della Lobra.

Secondo una storia tradizionale, causò un appiattimento ed ingrossamento del fondo schiena delle donne massesi. che volevano tirarlo a riva temendo che i Sorrentini volessero rubarglielo o, secondo un'altra versione, per riparare l'approdo. Tale danno irreparabile fu conseguenza dell'improvvisa rottura della fune all'uopo intrecciata.

Ma mi sembra giusto riportare la descrizione che ne fa Francesco Saverio Mollo nel terzo canto del poemetto 'O Paese Mio.

Colui che parla è un canonico che racconta all'arcivescovo di Sorrento la storia ascoltata alla Marina Grande di Sorrento.

 

I

Vuie sapite 'a Marina 'e Funtanella,

ca ce pote 'o libeccio e 'o viento 'e fora...

Venette 'ncapa a na pescaturella

n'idea geniale e s''a sciataje cu 'a sora :

"Sasora mia, vì' ch'arruvina !... E 'mmece

basta nu scuoglio a ce sarvà': 'o Revece !"

II

"E comme?" "Si cu 'e cimme se 'mbracasse

longhe, assaje doppie e bone annurecate...

e 'a terra tutto 'o populo tirasse...

i' credo ca, cu quatto stracannate,

'o tirarrìamo 'nterra e, stuorto o muorto,

nu recanzo avarrìamo, nu puorto!"

III

Tagliammo a curto... Priesto sta penzata

facette 'a cavulara saglì' a bullo !

Ma 'o sinnaco fuje tuosto : "Mo' chest'ata

prudezza e addeventammo nu trastullo !"

Ll'uommene se facettero capace ;

ma, vuje sapite, 'a femmena è tenace.  

IV

Figliole e vecchie, zite e maretate,

cu fune, rieste, sàvule e catene,

'nfravulo 'e mare, cu 'e vunnelle aizate,

votteno 'e notte 'e lanze, 'e fanno chiene,

e po', cu o friso a mare, 'mmiez' 'e scoglie,

vocano, e chi nun voca sciaravoglie.

V

A 'mbracà' e attaccà' schiaraje juorno...

Ma all'arba, overo comm' a nu crapone,

ca sente 'a chianca e 'ncasa 'nterra 'o cuorno

- e hanno voglia 'e tirà' mille perzone,

ca nun ce stanno Sante nè Maronne ! -

o' Revece resiste 'mmiez' all'onne.

VI

'E femmene sciusciajeno pe' n'ora,

'o sudore scavaje 'nterra duje rive,

d''e panne 'e pelle s'affacciajeno fora

e po', pure d''e pelle, 'e carne vive...

e steva già pe' s'affaccià' 'o primm' uosso

quanno l'aria tremmaje pe'nu scuosso.

VII

E ste doje nzerte 'e femmene nu butto

facettero cu 'e fune rotte mmano...

e sbattettero 'nterra cu 'o presutto.

Mo' stu presutto rummanette sano ;

ma 'a chillo juorno, e tiempo n'è passato,

tutte 'e massese 'o teneno ammaccato!  

Il Vervece entra anche in un altra storia, riportata anche dal Canzano Avarna, della quale sono protagonisti due pittori: Carlo Amalfi, nativo di Piano di Sorrento, allievo di Sebastiano Conca detto il Gaetano, e il suo falso amico tale Luigi Blower. Per quanto era buono, bravo, leale e generoso Carlo, tanto era invidioso, falso, subdolo e malvagio Luigi. Quest'ultimo, dopo averne combinate di tutti i colori al povero Carlo, specialmente nel campo professionale, giunse perfino a farlo incarcerare per un anno avvalendosi delle sue amicizie a Corte. Ma questa fu la goccia che fece traboccare il vaso, e così Carlo durante il suo soggiorno forzato ebbe modo di rendersi conto della cattiveria del falso amico e meditò la vendetta. Scontata la pena, tornò a Sorrento e quando incontrò Luigi, che si mostrò ovviamente dispiaciuto delle disgrazie dell'altro e assolutamente estraneo al fatto, fece buon viso a cattivo gioco, in attesa del momento propizio per punirlo.

E il giorno giusto arrivò. Carlo, abile marinaio, invitò Luigi, che non sapeva neanche nuotare, a fare un giro in barca a vela, essendosi accorto che stava per avvicinarsi una burrasca. Allontanatisi dalla riva, fecero rotta verso Massa e quando arrivarono nelle vicinanze del Vervece erano in piena tempesta. Carlo si divertiva a manovrare fra le onde, mentre Luigi era in lacrime e supplicava l'amico farlo sbarcare da qualche parte. Fu subito accontentato da Carlo il quale accostò al Vervece dal lato a ridosso del forte vento di tramontana, lo fece salire sullo scoglio e poi se ne andò gridandogli che era giunto il momento di meditare su tutto il male che fino a quel momento gli aveva fatto. Carlo aveva inteso solo spaventare Luigi, e quindi rimase di sasso quando, andato al Vervece il mattino seguente per recuperarlo, non lo trovò, né ne ebbe notizia in nessuna marina della penisola. L'Amalfi passò il resto della sua vita col rimorso di aver causato la morte di Luigi e i suoi sogni era turbati da visioni di tempeste e naufragi.

Mentre si trovava a Nocera per eseguire dei lavori, sentì che la sua ora stava per arrivare e fece chiamare un frate dal vicino convento dei Cappuccini. Fu così che dopo aver confessato il suo presunto delitto, che lo aveva angustiato per tanti anni, ebbe la sorpresa di scoprire che il frate era proprio Luigi Blower. Questi era stato preso a bordo da una barca di procidani ed evidentemente la lezione gli era bastata, poiché aveva deciso da allora di passare il resto dei suoi giorni in un convento per espiare i suoi peccati. E quindi Carlo Amalfi potè morire contento e sollevato dal tormento che lo aveva afflitto fino ad allora.  

A proposito del Vervece c'è da segnalare qualche notizia di storia molto più recente: nel tratto di mare compreso fra il Vervece ed il Capo di Massa fu realizzato il record mondiale di discesa in apnea da parte di Enzo Maiorca. Successivamente fu posta una statua della Madonna alla base dello scoglio, a una quindicina di metri di profondità. Ogni anno, da allora, la seconda domenica di settembre si festeggia la Madonna del Vervece, protettrice dei subacquei. Sullo scoglio viene celebrata la Messa e c'è una grande partecipazione, non solo dei subacquei, ma anche di molti devoti che si recano attorno al Vervece con ogni tipo di imbarcazione.

leggende relative a Crapolla

Ci sono varie leggende su Crapolla nella tradizione orale dei pescatori. Si narra che alcuni di loro, usciti in mare a pescare di notte, aspettassero un segnale da parte di un compagno per rientrare. Stavano davanti all'insenatura di Crapolla quando videro una luce che scendeva lungo il ripido sentiero e, pensando che fosse il loro amico che stava andando alla marina per aiutarli a scaricare le reti e il pesce e a tirare la barca a terra, cominciarono a vogare verso la spiaggetta.  

Ma dopo poco la luce cominciò a risalire, e pensarono che non fosse lui. Poi ridiscese, e di nuovo accostarono a terra, ma un'altra volta la luce misteriosa tornò indietro. Questo fatto si ripetette più volte e alla fine, stanchi di aspettare, i pescatori approdarono e fecero da soli. Tornati in paese chiesero spiegazioni all'amico del suo strano comportamento, ma questi disse che si era addormentato e non si era proprio mosso da casa. E allora andarono nel luogo dove avevano visto comparire e scomparire  più volte la luce per cercare di svelare il mistero; giunti sul posto, vi trovarono le reliquie di San Pietro.  


Una storia molto simile si racconta a proposito del ritrovamento delle ossa di Santa Restituta, ora conservate nella chiesa a lei dedicata a Lacco Ameno sull'isola d'Ischia. A proposito di queste si narra infatti che furono trovate in mare di notte, in una teca che galleggiava sulle acque e che emanava una luce strana. I pescatori che videro questa luce le si avvicinarono e la tolsero dall'acqua, perché disturbava la loro pesca. Una volta in barca, la luce si spense e allora la teca fu gettata di nuovo in mare, e subito si riaccese. Tirata di nuovo a bordo, si spense e rimessa in mare, si accese ancora una volta. Così i pescatori decisero di portarla a terra e una volta approdati l'aprirono e vi trovarono le ossa di Santa Restituta.


Un'altra leggenda riguarda invece il sentiero che collega Torca con Crapolla: in un periodo in cui il fondo della stradina era particolarmente mal ridotto e la risalita era diventata ancora più faticosa del solito, un giorno i pescatori che scendevano alla marina ebbero la piacevole sorpresa di trovare vari operai al lavoro. Quando risalirono gli uomini erano ancora intenti a rimettere a posto le pietre dissestate e a ricostruire gli scalini. Giunti in paese ne parlarono con gli amici, ma nessuno aveva visto gli operai avviarsi al lavoro, né si aveva idea di chi potesse averli mandati. Il giorno seguente i pescatori trovarono il sentiero in perfetto stato, completamente rifatto, ed allora si disse che quegli operai erano delle anime mandate da San Pietro che in questo modo aveva voluto aiutare i suoi devoti.

"Chesta è Massa!", dicette Sardella ... ma era Puolo

La Marina di Puolo si trova esattamente a metà strada fra la Marina Grande di Sorrento e la Marina della Lobra e a tale proposito si narra l'aneddoto di Sardella. Questi era un pescatore della Marina Grande che faceva da Caronte ai viaggiatori che, una volta giunti a Sorrento, avessero voluto proseguire per Massa via mare senza dover affrontare la sconnessa mulattiera. Un giorno sbarcò a Sorrento un viaggiatore il quale, pur volendo evitare il percorso terrestre, non era assolutamente disposto ad accettare di pagare la somma richiestagli per il passaggio, ma pretendeva di pagarne solo la metà. Dopo una lunga ed estenuante trattativa, Sardella "cedette" alle insistenze del viaggiatore, lo fece salire in barca, intascò i soldi, e incominciò a remare alla volta di Massa. Giunti a Puolo, accostò, fece scendere il passeggero facendogli credere che si trattasse della Marina della Lobra e se ne tornò tranquillamente alla Marina Grande. Di qui nasce la tradizione, che ormai solo pochi mantengono viva, di dire: "Chesta è Massa - dicette Sardella" al passaggio davanti alla Marina di Puolo.

Punta della Campanella


leggenda più comune

L'etimologia del nome della punta è chiaramente legato a una campana, ma esistono due differenti versioni circa il perché del nome. La più semplice delle due teorie sostiene che sulla Torre Minerva, dove stavano i soldati di guardia per avvistare eventuali navi saracene in avvicinamento, esisteva una piccola campana che veniva suonata in caso di pericolo.

L'altra è molto più colorita e fantasiosa e di conseguenza anche più conosciuta. Si narra che in una delle scorribande dei Saraceni nella Penisola Sorrentina (i più dicono che si trattasse proprio di quella tristemente famosa del 1558) fu saccheggiata anche la chiesa di Sant'Antonino Abate, protettore di Sorrento.

Quando la flotta pirata giunse alla Punta della Campanella, la nave che trasportava la campana e gli altri oggetti trafugati nella chiesa fu bloccata da una forza misteriosa e, nel tentativo di procedere e di raggiungere le altre fuste che intanto si allontanavano, i predoni cominciarono ad alleggerire l'imbarcazione gettando in mare parte del loro bottino. Ma solo quando si liberarono della campana di bronzo di Sant'Antonino riuscirono a doppiare la punta. La leggenda vuole che, non appena la campana fu gettata in mare, si levò un improvviso e fortissimo vento che consentì al vascello pirata di raggiungere in pochi attimi le altre fuste. C'è anche chi sostiene che ogni 14 febbraio, festa del santo protettore di Sorrento, si sente la campana suonare sott'acqua, e chi non ci crede può andare a controllare!


leggenda del tesoro

La leggenda del tesoro della Campanella interessante perché vuole che gli esploratori penetrassero nella grotta armati di un anello-talismano (influenza orientale) anziché del solito libro magico di Virgilio o non so che altro. Una mostruosa figura a cavallo venne fuori dalle tenebre ammonendoli che, se non fossero riusciti a scoprire il tesoro in tre tentativi, avrebbero perso la vita. Non ci riuscirono, ed un 'ondata gigantesca, levatasi dal mare, li avrebbe travolti, se non fossero riusciti a placarla subito, gettando l'anello nell'insenatura spumeggiante.


nel 1861, la nave Ercole sparì nei pressi di Punta Campanella?

Il 4 marzo 1861 era lunedì. Su Palermo splendeva il sole. Nel porto, lungo il molo Arsenale, erano ormeggiati 11 battelli, di cui 4 a vapore. La stazza delle imbarcazioni era di circa 450 tonnellate, la meta era la stessa: Napoli. Sarebbero partite ognuna a distanza di tre ore.

Il nome del primo vascello era "Ercole". Nave a vapore e a vela, con grandi ruote laterali come quelle che attraversano il Mississippi, l'"Ercole" era di costruzione inglese, con una lunga storia di trasporti civili e militari nel Tirreno. Il secondo battello era il "Pompei". A bordo c'era Ippolito Nievo che aveva gestito le finanze della spedizione dei Mille nel 1860.

L'"Ercole" salpò alle 12,55 con mare calmo, ma alle 5 del mattino del giorno dopo si trovò in piena tempesta. Alle 10 il mare era di nuovo calmo. La "Pompei" entrò nel porto di Napoli, ma l'"Ercole", partito da Palermo tre ore prima, non era ormeggiato. Il vascello scomparve senza lasciare nessuna traccia.

Cento anni dopo, quando le poste italiane emettono un francobollo commemorativo di Ippolito Nievo, il nipote del vice intendente di Garibaldi per la Spedizione dei Mille, Stanislao Nievo giornalista e fotografo, decide di riprendere le ricerche.

Dieci uomini di mare, oltre a tre amici più intimi, hanno aiutato Stanislao Nievo il quale contatta finanche Gerard Croiset un uomo di 60 anni che ha una curiosa capacità di veggenza, di premonizione e di indagini su gente scomparsa. Croiset, senza dati precisi, ma solo con l'ausilio di carte nautiche e di un racconto approssimativo disse che l'"Ercole" si era spaccato per scoppio delle caldaie. I punti dell'affondamento della nave che giaceva sul fondo insabbiata per metà erano compresi in un'area con profondità di 40, 90 e 270 metri circa.

Alcuni mesi dopo Stanislao Nievo uscì dal porto di Napoli con un peschereccio munito di ecosonda. Era con lui il sommozzatore Renato Sincero, che pescava coralli e si spingeva con gli autorespiratori fino a 110 metri. L'ecosonda segnò un piano molto vicino a quello di Croiset, ma i risultati delle immersioni furono scarsi. Tre mesi dopo, il giornalista tornò a Napoli con Croiset. Il paragnostico e Stanislao Nievo giunsero a Capri. Cominciarono le ricerche in mare tra Punta Campanella e Capri e dopo meno di un'ora, Croiset disse: "L'Ercole è qui".

Quindici giorni dopo arrivarono dall'Olanda un nastro inciso e cinque disegni, i quali inquadravano il fondale su cui Croiset era passato. Il nastro diceva: "Il vascello a circa 200 metri dalla roccia che ho segnato la prima volta".

Stanislao Nievo decise allora di rivolgersi al professore Augusto Piccard, che era aiutato dal figlio Jacques, il quale nel 1953 scese nel fondo proprio al largo di Punta Campanella con il batiscafo "Trieste", si immerse ancora con un prototipo sperimentale del sommergibile PC8. A circa 240 metri di profondità videro il relitto di un vascello, tentarono di imbarcarne un pezzo, ma l'intera imbarcazione si dissolse come polvere. Un mese dopo ritentò con un altro sommergibile, un batiscafo rifatto che scese a 682 metri.

In una terza immersione con uno scafo sub americano raggiunse i 1000 metri; al largo di Capri, si imbatterono in un relitto che aveva la forma di una ruota di vascello, ma nel riportarlo alla luce, quasi avesse avuto bisogno di una regolare decompressione, si sbriciolò e tornò sul fondo. Tornati sul fondo, trovarono una cassa metallica sfondata, simile a quelle della Spedizione dei Mille, ma tutto si disfece nella presa delle pinze di acciaio del sommergibile. Stanislao Nievo fece un ultimo disperato ritorno alla parapsicologia, ma alla fine dovette arrendersi. E oggi, a 114 anni di distanza, nonostante il lavoro massacrante del giornalista nipote di Ippolito Nievo, il mistero dell'"Ercole" non stato ancora chiarito.

(Mino Jouakin, "Napoli VIP", marzo 1986)


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