POST CINEMATOGRAFICI

indice completo dei  1300 film 2016 - 2018

lista film (pdf)  2015   2014   2012-13

2016

1 - 50

51 - 100

101 - 150

151 - 200

201 - 250

251 - 300

301 - 350

351 - 403

 

2017

1 - 50

51 - 100

101 - 150

151 - 200

201 - 259

260 - 299

300 - 349

350 - 399

400 - 443

2018

1 - 50

51 - 100

101 - 150

151 - 200

201 - 250

251 - 300

301 - 350

351 - 400

401 - 454

2019

1 - 50

51 - 100

101 - 150

151 - 200

201 - 250

251 - 300

301 - 350

351 - 409

 

2020

1 - 50

51 - 100

101 - 150

151 - 200

201 - 250

251 - 300

301 - 350

351 - 400

401 - 444

2021

1 - 50

51 - 100

101 - 150

151 - 200

201 - 250

251 - 300

301 - 350

351 - 388  

2022

1 - 50

51 - 100

101 - 150

151 - 200

201 - 250

251 - 300

301 - 350

351 - 400  

micro-recensioni dei film del 2018   (dal 250° al 201°)


leggi tutte le 50 micro-recensioni (in basso, dopo i poster)

Marcel Carné, Fra, 1945

Howard, Moore, Bush, USA, 2016

Peter Glenville, Fra/USA, 1967

Jaime Chávarri, Spa, 1989

Orson Welles, Spa/Svi, 1965

Alberto Cortés, Mex, 1986

Arturo Ripstein, Mex, 1966

Carol Reed, UK, 1959

Carol Reed, UK, 1949

Carol Reed, UK, 1948

John Boulting, UK, 1947

Robert Bresson, Fra, 1934

Robert Bresson, Fra, 1983

Robert Bresson, Fra, 1977

Robert Bresson, Fra, 1974

Robert Bresson, Fra, 1971

Robert Bresson, Fra, 1969

Robert Bresson, Fra, 1967

Lee Unkrich, USA, 2017

Robert Bresson, Fra, 1966

Robert Bresson, Fra, 1962

Robert Bresson, Fra, 1951

Robert Bresson, Fra, 1945

Robert Bresson, Ita, 1943

Kô Nakahira, Jap, 1956

Alfred Hitchcock, USA, 1963

C. Boese, P. Wegener, Ger, 1920

Robert Wiene, Ger, 1920

Atom Egoyan, Isr, 1997

Douglas Sirk, USA, 1959

Emir Kusturica, It/UK/Yu, 1988

Aleksandar Petrovic, Yug, 1967

Nicholas Ray, USA, 1956

Nicholas Ray, USA, 1950

Joel & Ethan Coen, USA, 2000

Robert Bresson, Fra, 1959

Robert Bresson, Fra, 1956

Jean Renoir, Fra, 1951

Joseph Losey, UK, 1967

Joseph Losey, UK, 1963

Pedro Almodóvar, Spa, 1983

Nicolás Echevarría, Mex, 1991

José Bohr, Mex, 1935

José Luis Guerín, Spa, 1997

Jaime Chávarri, Spa, 1976

F.ndo Fernán Gómez, Spa, 1965

Ladislao Vajda, Ger/Ita, 1958

J. A. Nieves Conde, Spa, 1955

J. A. Nieves Conde, Spa, 1951

Jean-Marc Vallée, USA, 2013

250 “Les enfants du paradis“ (Marcel Carné, Fra, 1945) tit. it. “Amanti perduti” (sic!) * con Arletty, Jean-Louis Barrault, Pierre Brasseur (padre di Claude)
Questo film dalla produzione molto travagliata a causa dell’occupazione tedesca e dei limiti imposti dal governo di Vichy, è il penultimo degli 8 frutto della collaborazione fra il regista Marcel Carné e il poeta e autore Jacques Prévert che curava sceneggiatura e dialoghi.
Le oltre 3 ore sono divise in due parti “Le Boulevard du crime” e “L’Homme blanc” con gli stessi personaggi, ma eventi rappresentati si svolgono a distanza di una mezza dozzina di anni dopo. Il dramma si sviluppa nella prima metà dell’800 a Parigi, nell’ambiente teatrale, fra pantomime e acrobazie di saltimbanchi, circensi di ogni sorta e malviventi. I personaggi principali sono Garance (una provocante donna le cui qualità teatrali sono quasi esclusivamente realtive al suo aspetto) e i suoi 4 pretendenti, di carattere e provenienza molto diverse. A loro si aggiunge Nathalie (l’esordiente Maria Casarès) follemente innamorata di uno dei 4, con il quale divide il palcoscenico.
Film molto ben realizzato e interpretato, che oggi può essere apprezzato nella versione integrale grazie a un ottimo restauro realizzato dalla Pathé nel 2012..
IMDb 8,3 RT 97% * Nomination Oscar per sceneggiatura originale
In Italia arrivò a settembre ’46 a Venezia (dove ottenne il Premio della Critica Internazionale), ma nelle sale italiane solo nel 1950
NB - Il “paradis” del titolo è il loggione (o piccionaia che dir si voglia)

 

249 "Zootopia“ (Peter Glenville, USA, 1989) tit. it. “Zootropolis” * animazione
Basandomi su quanto avevo sentito mi aspettavo molto di meglio. Non mi sembra che abbia una solida presa di posizione in merito all’eguaglianza, non discriminazione e pacifica convivenza, proponendo banali caratterizzazioni di molte specie. In alcuni casi si vogliono sovvertire stereotipi ed altri si calca la mano. I disegni non mi sembrano un granché, si è badato troppo alla spettacolarizzazione delle scene.
Certamente non è del tutto malvagio e alcune idee sono creative e divertenti nel corso della trama molto articolata e piena di sorprese.
In relazione ai recenti Oscar per l’animazione, non vale né Inside Out (2016), né Coco (2018), né Moana (2017) al quale fu preferito.
IMDb 8,0 RT 98% * Oscar miglior film d’animazione 2017
PS - Nel cambio titolo Zootopia-Zootropolis si è perso anche il gioco di parole con sottile significato.

 

248 "The Comedians“ (Peter Glenville, Fra/USA, 1989) tit. it. “I commedianti” * con Richard Burton, Elizabeth Taylor, Alec Guinness, Peter Ustinov
Scadente versione cinematografica di un buon romanzo di Graham Greene, comunque non fra ii suoi migliori. La regia fu affidata all’insipido Peter Glenville che non è riuscito a lasciare alcun ricordo notevole né come attore (9 film), né come regista (7 film, questo fu il suo ultimo) pur avendo conseguito una Nomination Oscar per la regia di “Beckett” (1965) ma si trattava di una produzione complessivamente più che buona, che da 12 Nomination ottenne però solo l’Oscar per la sceneggiatura.
Per questa produzione franco-americana Graham Greene stesso adattò il suo romanzo (lo ridusse, come è normale, ma forse lo edulcorò troppo) e soprattutto ne cambiò il finale, rendendolo meno negativo. Da ciò sorsero varie polemiche e, complice la qualità non eccellente della narrazione cinematografica e per dare troppo peso alla parte romantica che distrae dal clima di terrore imposto dalla dittatura di Papa Doc Duvalier per mano dei suoi famigerati Tonton Macoute, il film non fu ben accolto dalla critica.
Il cast include vari attori famosi ma nessuno sembra essere particolarmente in vena e quasi tutti sono poco convincenti in questo film. Oltre alle “stelle” c’è chi era una star del muto (Lillian Gish) e il giovane James Earl Jones, al suo secondo film dopo la partecipazione a “Dr. Stranamore”, 3 anni prima, che successivamente sarebbe divenuto un volto noto anche in tv, nonché voce di Darth Vader nella saga di Star Wars.
Consiglio spassionato: evitate il fil e leggete il libro.
IMDb 6,5 RT 27%

 

247 "Las cosas del querer“ (Jaime Chávarri, Spa, 1989) tit. it. “Le cose dell’amore” * con Ángela Molina, Ángel de Andrés López, Manuel Bandera
Quasi un film musicale, che per certi versi (soprattutto per la struttura) mi ha ricordato “The Fabulous Baker Boys” (1989) con i fratelli Bridges e Michelle Pfeiffer. In questo caso, però, siamo nei primi anni ’40, appena dopo la guerra civile spagnola e l’avvento al potere del Generalisimo Francisco Franco. I due (uno pianista e l’altro cantante) non sono fratelli ma solo amici, la cantante (Angela Molina) la incontrano per caso. Non senza difficoltà arrivano ad un buon successo, ma la gelosia del pianista (amante della cantante) e l’onnipresente suocera creano non pochi problemi di convivenza. “Per fortuna” non c’è rivalità fra i due amici in quanto l’altro è omosessuale e quindi i suoi problemi sono solo con l’intolleranza della dittatura.
Le canzoni interpretate sul palcoscenico dai due, sia in coppia che da soli, sono piacevoli e allusive come era normale visto che si trattava di avanspettacolo. Per lo più coplas e qualche ritmo flamenco, ma di quelli più popolari ... pur essendo un discreto conoscitore di musica spagnola ho ascoltato un solo pezzo - e che pezzo - famoso: “La bien paga’”.
Diventa così una discreta miscela composta da un po’ di musica, un po’ di ambiente teatrale popolare, un po’ di problemi politici, un po’ di love story, un po’ di temi omosessuali.
La conoscenza dello spagnolo ed in particolare della canzone andalusa aiuta molto, ma non è indispensabile.
IMDb 6,9 RT 71%

 

246 "Chimes at Midnight“ (Orson Welles, Spa/Svi, 1965) tit. it. “Falstaff” * con Orson Welles, Keith Baxter, John Gielgud, Margaret Rutherford
Nel suo girovagare per il mondo e fra i soliti litigi con i produttori, Orson Welles andò a girare questo film in Spagna, con maestranze per lo più locali e con un cast internazionale nel quale, oltre ai protagonisti, ci sono anche lo spagnolo Fernando Rey, le francesi Marina Vlady e Jeanne Moreau e l’italiano Walter Chiari.
Questa sua rivisitazione e miscela di opere di Shakespeare fece molto discutere all’epoca e fu accolta in modo molto vario, con numerosissime critiche. Non di facile approccio sia per il troppo parlare (per un film) e soprattutto con un vocabolario classico e obsoleto, solo con il tempo è stato ben analizzato e rivalutato e attualmente molto critici lo pongono fra i migliori film di Welles, sia come regista che interprete.
In “Campanadas de medianoche” (tit. or. spagnolo) succede poco, essendo quasi teatrale, eppure Welles vi ha inserito 6 minuti di cruenta e continua battaglia che sono diventati un vero cult e quasi un’opera d’arte a sé costruita con un montaggio sopraffino.
Ovviamente abbondano anche le riprese dal basso, le luci “teatrali”, i primi piani.
Ne esiste una versione restaurata e masterizzata.
In conclusione, è molto ben realizzato e merita certamente una visione, nonostante l’handicap della vocabolario shakespeariano molto particolare che può rivelarsi un vero ostacolo.
IMDb 7,9 RT 97%

 
2 Premi speciali e Nomination Palma d'Oro a Cannes 1966

245 "Amor a la vuelta de la esquina“ (Alberto Cortés, Mex, 1986) trad. lett. “Amore dietro l’angolo” * con Gabriela Roel, Juan Carlos Colombo, Emilio Cortés, Alonso Echánove
Altra opera prima di un regista messicano che tuttavia non ha avuto neanche lontanamente le carriera di Ripstein. Buono lo stile, con la storia raccontata molto per immagini (in modo chiaro), con dialoghi ridotti all’osso Pluripremiato in Messico per regia, interpretazione, opera prima, cinema sperimentale.
Un buon esercizio, segnalato fra i primi 100 film messicani (lista della rivista Somos, del 1994 , al 72° posto)
IMDb 7,2

 

244 "Tiempo de morir“ (Arturo Ripstein, Mex, 1965) trad. lett. “Tempo di morire” * con Marga López, Jorge Martínez de Hoyos, Enrique Rocha, Tito Junco
Primo lungometraggio di Arturo Ripstein, uno dei più stimati e rispettati (a livello mondiale) registi messicani viventi pur essendo molto poco convenzionale, che con questo film diventò il più giovane regista a dirigere un lungometraggio. Dopo oltre 50 anni, ancora oggi è sulla breccia (75enne), il suo film più recente è “La calle de la amargura” (2015), Nomination Queer Lion a Venezia, dove fu presentato fuori concorso.
Per saperne di più: http://www.cineblog.it/post/650143/venezia-2015-la-calle-de-la-amargura-recensione-in-anteprima
Gabriel García Márquez è l’autore del soggetto di questa bella “brutta storia” e lui stesso lo adattò a sceneggiatura insieme con Carlos Fuentes. Per alcuni versi richiama (anche nel titolo) l’essenza di “Cronaca di una morte annunciata” (romanzo del 1981, poi portato sullo schermo da Francesco Rosi nel 1987) anche se in questo caso si vuole uccidere per vendetta e non per onore.
Ripstein (essendo figlio del grande produttore Alfredo Ripstein hijo, o Jr.) era praticamente cresciuto in mezzo ai set cinematografici e già nel 1962 era stato (uncredited) assistente di Luis Buñuel per “El ángel exterminador”. Grazie al padre (che produsse il film) poté contare anche su un ottimo direttore della fotografia quale Alex Phillips (200 film) il quale, come lui, aveva già collaborato con Buñuel e tutti i migliori registi della Epoca de Oro.
Pur classificato come “western” è una storia tutta messicana, che si svolge in un piccolo pueblo dalle strade assolate e deserte, fiancheggiate da classiche case con patio e cantine, nei dintorni ranch e allevamenti di cavalli, unico mezzo di trasporto. Alla fine ci sarà il tanto atteso scontro a fuoco ... chi sopravviverà?
Buona attuazione, ottima regia (specialmente se si considera che si tratta di un’opera prima), eccellente fotografia.
IMDb 7,4 RT 100%
NB - "Tiempo de morir“ è stato riproposto in versione restaurata a Cannes Classics 2016 (la trovate in rete), in occasione del 50° anno dell’uscita di questa pellicola di esordio di Ripstein. Nel caso lo cerchiate, accertatevi di guardare questo e non il remake del 1985, diretto dal regista colombiano Jorge Alí Triana, con Gustavo Angarita come protagonista.

 

243 " Our Man in Havana “ (Carol Reed, UK, 1959) tit. it. “Il nostro uomo all’Havana” * con Alec Guinness, Maureen O'Hara, Ernie Kovacs, Burl Ives
L’omonimo romanzo di Graham Greene è particolare per essere uno dei meno drammatici, più divertenti, quasi surreale, una chiara presa in giro dei servizi segreti di tutti il mondo e delle spie, tutt'altro che superuomini, con uno humour molto sottile. Ogni parola e ogni personaggio sono pensati e pesati alla perfezione e non sono mai banali.
Vengono menzionate torture (plausibili, ma non mostrate), portasigarette in pelle umana (fatto non certo), sparatorie, avvelenamenti, incidenti (sospetti) d'auto e aereo, piani di impianti militari segreti, ma molto non è esattamente ciò che sembra, a cominciare dai vari protagonisti dell’intricata vicenda.
Avrete ben compreso che Carol Reed si trova a dirigere un'ottima dark comedy ambientata ovviamente a Cuba e girata sul posto, appena prima dell’arrivo di Castro, quando all’Havana si viveva in un clima cosmopolita, con grandi contrasti fra il lusso e la povertà, ma già in un gran fermento politico. Non a caso proprio in apertura viene ricordato che “This film is set in Cuba, before the recent revolution”, infatti fu girato nel 1958 ma giunse nelle sale solo l’anno successivo, dopo la fuga del dittatore Fulgencio Batista avvenuta ill 1° gennaio 1959.
Anche il romanzo, comunque, è del 1958 e quindi Greene, come chiunque altro, ben sapeva come andavano le cose nella capitale cubana. Altro elemento da sottolineare e ricordare è che lo stesso scrittore per un certo periodo lavorò per i servizi segreti britannici noti con l’acronimo MI6 ((Military Intelligence, Sezione 6).
Devo tuttavia dire che in questo caso passando dal romanzo al film si perdono parecchie deliziose descrizioni di situazioni e personaggi. Avendone la possibilità, leggete anche il libro, pur sapendo come va a finire.
Comunque da non perdere, anche per gli attori che recitano attorno ad Alec Guinness, come Ernie Kovacs nei panni del famigerato capitano Segura (dal sinistro soprannome “The Red Vulture”) e Burl Ives nel ruolo del dottore di origini tedesche che conserva ancora la sua divisa di ufficiale prussiano.
IMDb 7,2 RT 76%

 

242 " The Third Man “ (Carol Reed, UK, 1949) tit. it. “Il terzo uomo” * con Orson Welles, Joseph Cotten, Alida Valli, Trevor Howard
Film inserito quasi da chiunque nelle liste dei migliori film non solo dell’epoca o del genere, ma anche quelle assolute (130° su IMDb).
L’accoppiata Carol Reed/Graham Green in questo caso si avvale anche di un cast di eccezione, potendo contare su Orson Welles (che tuttavia compare in un numero limitato di scene), Joseph Cotten nei panni del protagonista, Alida Valli, Trevor Howard e caratteristi come Bernard Lee, presente anche nel precedente “The Fallen Idol”.
La fotografia è molto particolare, un bellissimo bianco e nero con fortissime luci quasi orizzontali che proiettano ombre lunghissime, specialmente negli esterni di una Vienna che sfoggia in parte ricche facciate di edifici ed in parte cumuli di macerie, riprese esaltate anche dalle drammatiche inquadrature oblique. Come ciliegina sulla torta arrivò anche Anton Karas, suonatore di zither (cetra da tavolo) non professionista, che non aveva mai composto in precedenza. Reed gli propose di comporre il commento musicale e quasi lo sequestrò per costringerlo a completarlo. Il singolo del famosissimo tema di Harry Lime (aka “The Third Man” theme) rimase ai primi posti della hit parade per molte settimane sia in UK che in USA. Chi non lo conosce (probabilmente solo non sa che è quello) lo può ascoltare qui https://www.youtube.com/watch?v=C5ZnzNCXgLY
IMDb 8,2 RT 100%  * Oscar per la fotografia oltre a 2 Nomination (regia e montaggio) - Grand Prix a Cannes per la regia  *  al 130° posto nella classifica IMDb dei migliori film di tutti i tempi
 

241 "The Fallen Idol“ (Carol Reed, UK, 1948) tit. it. “Idolo infranto” * con Ralph Richardson, Michèle Morgan, Sonia Dresdel
Questo è il primo dei 3 film diretti da Reed conn storia e sceneggiatura di Graham Greene. "The Fallen Idol“ (tratto dalla short story “The Basement Room”) si svolge per lo più in una enorme ambasciata a Londra, in un paio di giorni durante i quali restano nell’edificio solo maggiordomo e governante (marito e moglie), che dovrebbero anche prendersi cura del figlio dell’ambasciatore, più o meno pestifero e un gran bugiardo (anche se in molti casi pensa di far bene). Aggiungete i pessimi rapporti fra i due coniugi, un’amante, un incidente e le conseguenti indagini della polizia e, grazie alla penna e alla genialità di Greene, ne scaturisce un ottimo thriller “familiare”.
Certamente contribuiscono la regia di Carol Reed (con ottime scelte di inquadrature sia per gli interni, sia per le strade deserte di Londra di notte, quasi una prova generale per quelle della Vienna rappresentata nel successivo “The Third Man”), la fotografia e i protagonisti fra i quali si distinguono Ralph Richardson nei panni del maggiordomo Baines e il giovane Bobby Henrey (9 anni all’epoca) che tuttavia sarebbe apparso in un solo altro film.
Più che consigliato!
IMDb 7,8 RT 100%

 
2 Nomination Oscar (regia e sceneggiatura, tratta dalla short story “The Basement Room”) - miglior sceneggiatura e Nomination Gran Premio Internazionale a Venezia

240 "Brighton Rock“ (John Boulting, UK, 1947) * con Richard Attenborough, Hermione Baddeley, William Hartnell
La regia non è certo malvagia e anche le interpretazioni sono più che buone, ma è l’eccezionale sceneggiatura a farne un grande film. Tratta dal romanzo omonimo di Graham Greene (che collaborò anche all'adattamento cinematografico) fornisce corpo e sostanza, con i suoi tanti colpi di scena, con i tempi perfetti, le opportune coincidenze. Mi si può anche accusare di essere di parte, ma i film tratti dai lavori di Graham Greene sono sempre buoni e, quando non sono ottimi, le colpe ricadono inevitabilmente su regista e/o attori.
Un giovane Richard Attenborough (il cui sguardo ricorda tanto Peter Lorre) interpreta Pinkie, malvivente di basso rango che si atteggia a boss, Estremamente buono il finale nel suo complesso, con gli ultimi secondi che sono veramente geniali, la firma di un grande autore di short stories (anche se "Brighton Rock“ è un romanzo).
I personaggi sono ben descritti, oltre ai protagonisti, si fanno notare i membri della scalcagnata gang ma su tutti emerge la più che pertinace Ida Arnold (interpretata da un’ottima Hermione Baddeley) una vera maledizione per Pinkie!
Nel 2010 ne fu prodotto un remake, diretto da Rowan Joffe ... chiaramente di gran lunga inferiore.
Oltre a consigliare la visione del film del 1947, suggerisco di leggere anche il libro, possibilmente in edizione originale.
IMDb 7,4 RT 100% - Miglior regista e Nomination Palma d’Oro a Cannes

 

239 "Affaires publiques“ (Robert Bresson, Fra, 1934) * con Beby, Andrée Servilanges, Marcel Dalio
Concludo il ciclo completo di Bresson tornando all’antefatto ... questo suo short (rimasto l’unico della sua filmografia) fu girato 9 anni prima del suo film d’esordio “Les anges du péché” (1943). Si tratta, incredibilmente, di una slapstick comedy di appena 25’.
Si guarda giustp per curiosità, praticamente non ha niente a che vedere con la sua ottima produzione successiva.
IMDb 6,3

 

238 "L'Argent“ (Robert Bresson, Fra, 1983) * con Christian Patey, Sylvie Van den Elsen, Michel Briguet
Questo tredicesimo e ultimo lungometraggio di Bresson inizia seguendo i passaggi di mano di una banconota falsa da 500 franchi (il titolo del racconto di Tolstoj da cui è tratto adattato è proprio "Denaro falso", aka “La cedola falsa”) anche se ben presto questa si perde di vista, ma solo dopo aver avviato una serie di reazioni inopportune, bugie e accuse. Queste, a loro volta, innescano una escalation che porterà a crimini ben più seri del "semplice" spaccio di monete contraffatte.
Nessuno dei protagonisti si rivela essere un "santo" e molti non solo tentano di tirarsi fuori dai guai (comprensibilmente, però con modi certamente non giustificabili), ma anche di trarre vantaggio dalla scottante situazione.
Ancora una volta una storia ben raccontata per immagini, senza che nessuno dei protagonisti sia meritevole della piena simpatia del pubblico.
Dirigendo questo film a 82 anni, praticamente si congedò dal mondo del cinema che gli avrebbe comunque tenuto ancora in gran considerazione attribuendogli vari premi, fra i quali il Leone d’Oro alla carriera (Venezia 1989). Muore nel 1999, a 98 anni.
IMDb 7,5 RT 96% - Miglior regista e Nomination Palma d’Oro a Cannes

 

237 "Le diable probablement“ (Robert Bresson, Fra, 1977) tit. it. "Il diavolo probabilmente“ * con Antoine Monnier, Tina Irissari, Henri de Maublanc
Film di taglio molto diverso dagli altri, ambientato nella Parigi degli anni ’70, quando si viveva ancora l'onda lunga del '68 parigino fra, proteste, conferenze su temi politici, ideologici, sociali. Fra discorsi, presentazioni, filmati e immagini di repertorio si tirano in ballo e si mostrano soprattutto le posizioni degli ambientalisti dell'epoca, con problematiche in buona parte identiche a quelle attuali, in merito a inquinamento, uso del nucleare, gestione dei rifiuti, contaminazione, ma ci sono anche riferimenti alla psicoanalisi, nonché alla solita religione.
A margine di tutto questo fermento giovanile, Bresson pone i travagliatissimi rapporti fra i giovani protagonisti, ancora una volta personaggi poco integrati, dai comportamenti quasi asociali, senz'altro abbastanza confusi, ma certamente ben diversi dalla gioventù “di campagna” proposta in vari film precedenti.
Un interessante variazione per Bresson che comunque dirige con il suo solito stile.
IMDb 7,3 RT 83% - 3 Premi e Nomination Orso d’Oro a Berlino

 

236 "Lancelot du Lac“ (Robert Bresson, Fra, 1974) tit. it. "Lancillotto e Ginevra“ * con Luc Simon, Laura Duke Condominas, Humbert Balsan
Come è chiaro dal titolo, la figura centrale è Lancillotto (famoso più che altro per la sua storia d’amore con la regina Ginevra e per essere l’unico ad aver visto il Graal) che tuttavia non compare nelle prime cronache arturiane ma venne introdotto solo successivamente da Chrétien de Troyes (vissuto fra il 1130 e il 1190).
Questa famosa saga generalmente ampiamente sconosciuta nei suoi dettagli (i “cavalieri della tavola rotonda” variano da 12 a 150 e ci si perde fra omonimie diversi modi di scrittura e (im)probabili parentele) e quindi non c’è da meravigliarsi per quanto racconta Bresson, del resto quasi tutto ciò che si sa è più prossimo alla leggenda che alla storia. Il lato estremamente avvincente e affascinante è in questo caso il modo di proporlo in immagini, esasperando le inquadrature dei particolari, di parti di corpi di uomini e cavalli, rumori che raccontano chiaramente quanto accade anche se non si mostra, fra clangore di armi, colpi di lancia, nitriti e galoppare dei cavalli. Bresson monta una serie di garretti, zoccoli, schizzi di sangue e teste mozzate di netto, copristinchi e copriginocchia delle armature, staffe e speroni, scudieri, PP di occhi dei cavalli, lance e conclude con una serie di riprese di un cavallo che continua a correre nel bosco, anche se non ha più cavaliere.
Certamente la produzione avrà certamente sui costumi mostrando i cavalieri quasi esclusivamente coperti dall’armatura e spesso inquadrandoli solo dal bacino in giù.
Consiglio senz’altro una visione attenta di "Lancelot du Lac“, ma non aspettatevi niente di simile a ciò che avete già visto!
IMDb 7,4 RT 94% - Premio FIPRESCI a Cannes
PS - Guardando questa trasposizione cinematografica inusuale di avvenimenti relativi al ciclo arturiano, mi sono tornati in mente altri approcci non convenzionali sia alla saga dei cavalieri della tavola rotonda che alla ricerca del sacro Graal: “Perceval le gallois” (Eric Romher, Fra, 1978); l’originalissimo film a tecnica mista stop motion/attori reali "Il cavaliere inesistente" (Pino Zac, Ita, 1969, tratto dall’omonimo romanzo di Italo Calvino) e il molto più conosciuto “Monty Python and the Holy Grail” (Terry Gilliam e Terry Jones, UK,1975). Mi riprometto di guardarli nuovamente in serie, ma devo prima recuperare “Perceval le gallois” visto solo una volta 40 anni fa e da allora non ne ho mai sentito più parlare.

 

235 "Quatre nuits d'un rêveur“ (Robert Bresson, Fra, 1971) tit. it. "Quattro notti di un sognatore“ * con Isabelle Weingarten, Guillaume des Forêts, Jean-Maurice Monnoyer
Subito dopo "Une femme douce“ Bresson mette in scena un altro racconto di Fyodor Dostoevsky, "White Nights", già precedentemente adattata per il cinema e resa famosa in Italia da Luchino Visconti nel 1951, con il titolo originale “Le notti bianche”.
Una storia di amori non certi e altri non corrisposti, una intricata vicenda che per certi versi è molto simile a quella che Bresson proporrà 6 anni più tardi in "Le diable probablement“. Però, in questo caso, più che l’indecisione l’elemento centrale è l’attesa.
Buon film, ma poco coinvolgente.
IMDb 7,6 RT 89% - Premio e Nomination Orso d’Oro a Berlino

 

234 "Une femme douce“ (Robert Bresson, Fra, 1969) tit. it. “Così bella, così dolce” * con Dominique Sanda, Guy Frangin, Jeanne Lobre
Primo film a colori di Bresson, che stavolta adatta a sceneggiatura (uncredited) un racconto di Fyodor Dostoevsky.
Ho ritrovato serie di inquadrature scelte meticolosamente, riprese di particolari per il tutto, inquadrature fisse con il protagonista di turno che si avvicina alla camera passando così da una figura intera ad un inconsueto mezza figura / piano americano poiché, non muovendo la macchina né cambiando focale, l’attore resta il campo più o meno dalle ginocchia al busto ... senza piedi e senza testa.
La storia è raccontata alternando flashback alla preparazione del funerale della giovane suicida (non è uno spoiler in quanto il fatto accade in apertura di film) e conta quasi esclusivamente su tre personaggi.
Anche in "Une femme douce“ Bresson si affida ad attori non (ancora) professionisti e stavolta lancia l’esordiente Dominique Sanda. Da notare che questo sarà l’unico film Guy Frangin (che interpreta il marito) mentre Jeanne Lobre (la governante, esordiente a 69 anni) comparirà in altri 5 film, tutti degli anni ’70. La recitazione è volutamente abbastanza piatta, proprio come pretendeva Bresson.
IMDb 7,7 RT 100%

 

233 "Mouchette“ (Robert Bresson, Fra, 1967) tit. it. “Tutta la vita in una notte” * con Nadine Nortier, Jean-Claude Guilbert, Marie Cardinal
Anche questo film è adattamento di un romanzo di Bernanos, autore anche di “Journal d'un curé de campagne”, ma ambiente, personaggi, bullismo, contrasti famigliari, piccoli reati e giovani donne abbastanza “confuse” mi ricordano molto “Au hasard Balthazar“ dell’anno prima e, come quest’ultimo, mi ha parzialmente deluso.
Pare che, almeno in questo caso, io non sia il solo a vedere il questo film un calo di qualità rispetto ai precedenti film.
IMDb 7,8 RT 87%

 

232 " Coco“ (Lee Unkrich, USA, 2017) * animazione
Nuova visione (su richiesta), a meno di un anno dall’uscita di questo ottimo film di animazione, un vero omaggio alla cultura messicana. Chi ne sa abbastanza in merito lo può apprezzare molto di più, ma è certamente godibile da chiunque. Uno dei migliori degli ultimi anni, sia per creatività che per realizzazione.
Mi è molto piaciuto anche stavolta, comunque rimando a quanto scrissi a novembre scorso, appena uscito in Messico, .
IMDb 8,4 RT 97% *  2 Oscar per miglior film d’animazione e miglior canzone (Recuerdame) * altri 95 premi e 36 Nomination * al 63° posto della classifica IMDb dei migliori film di sempre

 

231 " Au hasard Balthazar“ (Robert Bresson, Fra, 1966) * con Anne Wiazemsky, Walter Green, François Lafarge
Nonostante sia esaltato da tanti - molti lo giudicano addirittura il migliore di Bresson - questo film è quello che mi è piaciuto di meno fra quelli visti finora. L’ho trovato slegato, pieno di personaggi improbabili che agiscono in modo scriteriato, perfino l’asino Balthazar. Troppi i salti temporali con situazioni che cambiano radicalmente lasciando allo spettatore una infinita scelta di possibili cause. La varietà di comportamenti insensati, che non portano alcun beneficio, mi è sembrata eccessiva, strana in un paese di campagna di metà secolo scorso, quando esistevano ancora molte persone di buonsenso.
Pur comprendendo che l’intenzione di Bresson era chiaramente quella di proporre un’allegoria (qualcuno l’he definita parabola, altri metafora), ammetto di non essere riuscito a coglierne l’esatto significato, anche leggendo successivamente le varie interpretazioni (spesse contrastanti fra loro) dei tanti critici che vedono nella vita dell’asino di tutto e di più, spiegando ogni singola situazione da un punto di vista sociologico, filosofico, religioso ... mi sembrano elucubrazioni fini a sé stesse.
Esordio per Anne Wiazemsky, che avrebbe poi lavorato con tanti registi non proprio “convenzionali” come Pasolini, Ferreri e Godard, nonché divenuta moglie di quest’ultimo.
IMDb 7,9 RT 100%  * 4 Premi a Venezia oltre alla Nomination Leone d'Oro

 

230 "Procès de Jeanne d'Arc “ (Robert Bresson, Fra, 1962) tit. it. "Processo a Giovanna d'Arco“ * con Florence Delay, Jean-Claude Fourneau, Roger Honorat
Saltando nell’ordine cronologico di “Un condannato a morte è fuggito” e “Pickpocket”, visti in precedenza, passo direttamente all’altro film “religioso” di Bresson, in questo caso anche storico in quanto molto fedele agli atti del processo subito da Giovanna d’Arco.
Guardando questo film, è impossibile non tirare in ballo "La passione di Giovanna d'Arco" (T. H. Dreyer, 1928) che propone praticamente gli stessi eventi: prigionia, processo ed esecuzione della “pulzella d'Orleans”. Seppur basati entrambe sugli stessi documenti giunti fino a noi, il taglio dato dai due registi è ben diverso fra loro e non solo per l'ovvio fatto di essere uno muto con cartelli e l'altro parlato.
Le impressionanti sequenze di primi e primissimi piani di Dreyer contrastano con il minimalismo di Bresson, indiscusso maestro del genere. Per la cronaca, il regista francese con il suo film non volle rendere omaggio al collega danese (da lui apertamente criticato) ma volle proporre una rappresentazione nel suo proprio stile fornendo anche tutt'altra lettura di quei drammatici eventi, già di per sé condizionati da tante implicazioni politiche e religiose, peraltro mai del tutto chiarite. Gli spettatori attenti (di quelli che ambiscono a cogliere il senso dei dialoghi e degli interrogatori) dovrebbero approfondire lo studio dello scontro di ideologie e di prassi, fra poteri temporali e religiosi (di diverse regole), le tensioni fra francesi e inglesi in piena Guerra dei cent’anni, l’influenza del pur lontano Papa.
Robert Bresson è lo sceneggiatore unico di questo film nel quale sono riportate fedelmente molte delle domande degli giudici inquisitori e delle risposte fornite dalla giovane, successivamente riabilitata e infine santificata.
IMDb 7,6 RT 100%
  *  2 premi e Nomination Palma d’Oro a Cannes

 

229 "Journal d'un curé de campagne“ (Robert Bresson, Fra, 1951) tit. it. "Il diario di un curato di campagna“ * con Claude Laydu, Nicole Ladmiral, Jean Riveyre
Il primo dei due film veramente “religiosi” di Bresson (11 anni prima di "Procès de Jeanne d'Arc “), una storia complicata tratta dal più famoso romanzo (del 1936) di Bernanos, narrata, come si evince dal titolo, dal punto di vista di un giovane prete di campagna, al suo primo incarico. Pur trattando di una piccola comunità, il sacerdote dovrà affrontare problemi di ogni sorta, contrasti sociali, ostilità di molti parrocchiani, far fronte a situazioni scabrose e prendere decisioni difficili, in vari casi contrastato dal nobile locale e dal suo stesso superiore, limitato dalle sue precarie condizioni di salute, nonché (ancor più importante) dalla sua coscienza.
Attraverso l’adattamento del romanzo omonimo, Bresson descrive con il suo solito stile minimalista il profondo travaglio spirituale del giovane sacerdote, fra fede, religione e doveri verso la chiesa.
IMDb 8,0 RT 94%  *  4 premi a Venezia, oltre alla Nomination Leone d’Oro

 

228 "Les dames du Bois de Boulogne“ (Robert Bresson, Fra, 1945) tit. it. "Perfidia“ * con Paul Bernard, María Casares, Elina Labourdette
Dramma sentimentale, adattamento di un racconto di Denis Diderot (filosofo del ‘700, enciclopedista, scrittore, uno dei massimi rappresentanti dell'Illuminismo, amico e collaboratore di Voltaire), impreziosito dai dialoghi di Jean Cocteau.
Un relazione che finisce apparentemente bene, un’opera buona che salva due donne (madre e figlia) da debiti e vita equivoca, un amore che nasce ... ma non tutto è ciò che sembra. Film fra i meno conosciuti di Bresson, pur essendo molto apprezzato dalla critica.
Ben diretto, ben fotografato, ben interpretato. Forte anche del soggetto di Diderot e dei dialoghi di Cocteau, merita senz’altro un’attenta visione.
Una volta tanto, seppur cambiando completamente il significato di quello originale, il titolo italiano descrive alla perfezione l'essenza della storia film.
IMDb 7,4 RT 100%

 

227 "Les Anges du péché“ (Robert Bresson, Fra, 1943) tit. it. "La conversa di Belfort“ * con Renée Faure, Jany Holt, Sylvie
Film d’esordio di Bresson
Dopo l'anticipazione di “Un condannato a morte è fuggito” e “Pickpocket”, ho messo mano alla visione in ordine cronologico dell'intera limitata filmografia di Bresson, appena 13 lungometraggi fra il 1943 e il 1983, il primo è quindi "Angeli del peccato", del quale fu anche co-sceneggiatore. Non fatevi ingannare dal titolo e dall'ambientazione in un convento di suore domenicane ... la religione c'entra relativamente poco. Si tratta di un ben congegnato dramma psicologico nel quale la regola conta ma le personalità enigmatiche delle protagoniste e i loro fini sono gli elementi fondamentali attorno ai quali si sviluppa e monta l'intera trama.
Questo ed il successivo sono i soli film di Bresson con un cast si soli attori professionisti. La fotografia è particolarmente precisa e curata, evidente retaggio degli trascorsi del regista come pittore e fotografo.
Girato in pieno periodo di guerra, giunse in Italia solo nel 1950 come "La conversa di Belfort“.
Un ottimo film d’esordio, in precedenza aveva diretto solo “Affaires publiques” (1934 - un corto di 25 minuti, stranamente una commedia) e aveva collaborato a varie sceneggiature.
IMDb 7,6 RT 83%

 

226 "Kurutta kajitsu“ (Kô Nakahira, Jap, 1956) tit. int. “Crazed Fruit”, tit. it. "La stagione del sole“ * con Yûjirô Ishihara, Masahiko Tsugawa, Mie Kitahara
Si tratta dell’adattamento dell’omonimo romanzo di Shintaro Ishihara (anche la sceneggiatura è sua), personaggio poliedrico appartenente ad una delle famiglie giapponesi più in vista (ministri, attori, ...) prolifico scrittore (vinse il più prestigioso premio letterario giapponese ancor prima di laurearsi), regista, sceneggiatore, giornalista, con una brillante carriera politica (deputato in varie legislature) che lo portò ad essere Governatore di Tokio per 4 mandati consecutivi. La storia narrata nel romanzo e nel film si svolge quindi in un ambiente che lui conosceva bene, di giovani ricchi, viziati e irrequieti, dalla vita abbastanza sregolata, con auto, motoscafi e barche a vela a disposizione. Tutto ben distante dai temi portati sullo schermo nei decenni precedenti, un sguardo cinico verso l’americanizzazione dei gusti e stili di vita dei giovani nipponici. Chiaramente fu molto discusso e sollevò molto scalpore. François Truffaut fu entusiasta del film e lo raccomandò alla Cinematheque.
Yûjirô Ishihara, fratello minore dell’autore, interpreta il ruolo del maggiore dei due fratelli rivali in amore, e con questo suo secondo film (aveva esordito nello stesso anno in “La stagione del sole”, tratto dal più famoso romanzo di suo fratello Shintaro), divenne immediatamente un’icona dei film di giovani ribelli giapponesi (quasi un James Dean nipponico) per poi passare ad essere famoso interprete di film d’azione.
Venendo al film in sé e per sé, molto lo giudicano precursore del nuovo cinema giapponese degli anni ’60 e in esso vedono anche uno stile che riporta alla Nouvelle Vague francese. Ne furono realizzati 2 remake, il primo nel 1968 con titolo “Kuang lian shi” (“Summer Heat”) ed il secondo nell’81con stessi titoli del ‘56, sia in giapponese che in inglese.
Visto in questa ottica complessiva è giustamente reputato una pietra miliare ed un momento di svolta nella cinematografia del paese del sol levante.
Pur essendo essenziale e non contando su attori d’esperienza è senza dubbio ben realizzato e merita una visione.
IMDb 7,2 RT 100%

 

225 “The Birds” (Alfred Hitchcock, USA, 1963) tit. it. "Gli uccelli“ * con Tippi Hedren, Rod Taylor, Jessica Tandy
Certamente è uno dei più famosi film di Hitchcock, ma è altrettanto sicuro che è ben lontano dai livelli dei veri thriller per i quali il regista sarà sempre ricordato. Forse fa paura a qualcuno, ma non c’è mai né vero terrore e tantomeno suspense ... solo in alcuni momenti un senso di opprimente attesa di un evento che sembra ineludibile e del quale non si comprendo i motivi. A me non è mai piaciuto più di tanto ma l’ho ri-proiettato a richiesta di una persona quasi ornitofoba che voleva superare il rifiuto di guardare gli uccelli perfino sullo schermo (almeno quelli aggressivi ed in grande quantità come in questo caso).
I dialoghi fra i protagonisti sono abbastanza scadenti e personaggi e situazioni sono più da commedia che da thriller. Anche quando si è staccato da quest’ultimo genere (raramente) cimentandosi in commedie come p.e. “The Trouble with Harry” (1955) Hitchcock ha fatto molto di meglio. “The Birds” secondo me fallisce per essere un cocktail mal riuscito, non essendo né thriller, né crime, né dramma, né commedia, né horror, né suspense ...
In quanto alla Nomination Oscar, essa mi sembra ridicola poiché, anche se nel complesso impressionanti (per gli impressionabili), gli effetti speciali sono palesemente mal realizzati.
Infine, fra gli extra del dvd in mio possesso compare la scaletta e vari schizzi di un finale alternativo, o meglio, semplicemente più lungo di quello conosciuto in quanto la scena conclusiva si prolunga per vari minuti. Ovviamente non dico come si conclude la versione ufficiale (anche se molti lo sanno) e tantomeno cosa sarebbe dovuto succedere nei minuti extra.
Volendo guardare un film di Hitchcock, sceglietene un altro.
IMDb 7,2 RT 100%  *  Nomination Oscar per gli effetti speciali

 

Due eccezionali film muti del 1920 "Il Golem" e "Caligari"

224 “Der Golem”  (Carl Boese, Paul Wegener, Ger, 1920) tit. it. "Il Golem - Come venne al mondo“ * con Paul Wegener, Albert Steinrück, Ernst Deutsch  *  IMDb  7,2  RT 100%

223 “The Cabinet of Dr. Caligari”  (Robert Wiene, Ger, 1920) tit. it. "Il gabinetto del dottor Caligari“ * con Werner Krauss, Conrad Veidt, Friedrich Feher  *  IMDb  8,1  RT 100% 


222 “The Sweet Hereafter” (Atom Egoyan, Can, 1997) tit. it.
"Il dolce domani“ * con Ian Holm, Sarah Polley, Caerthan Banks
La storia è semplice nella sua essenza, ma molto complicata nell’analisi dei caratteri dei tanti che hanno sofferto più o meno direttamente delle conseguenze di un incidente stradale nel quale hanno perso la vita oltre 20 bambini. In un piccolo paese è normale che tale evento si ripercuota sull’intera popolazione. L’avvocato che si offre di condurre una causa collettiva avvicina genitori delle vittime e adulti in qualche modo coinvolti e da tale “indagine” si scopre che l’ambiente apparentemente tranquillo non era in effetti proprio idilliaco.
Il regista (nato in Egitto da genitori armeni, cresciuto in Canada) si è occupato anche della sceneggiatura, adattamento di romanzo di Russell Banks.
Buone le interpretazioni nel complesso, fra esse spicca quella di Ian Holm nei panni dell’ambiguo avvocato.
Il tema proposto e la soluzione (forzata da un protagonista del dramma) solevano tante valutazioni di carattere universale, comprensibili da tutti ma per fortuna sperimentate da pochi. Sul modo di affrontare simili situazioni si potrebbe discutere all’infinito e Egoyan ha il merito di proporre l’argomento con tatto e non giungere a conclusioni assolute.
Buon film anche se, chiaramente, abbastanza deprimente.
IMDb 7,6 RT 100%  *  2 Nomination Oscar (regia e sceneggiatura adattata)  *  3 Premi per Egoyan a Cannes oltre alla Nomination per la Palma d'Oro.

 

221 “Imitation of Life” (Douglas Sirk, USA, 1959) tit. it. "Lo specchio della vita“ * con Lana Turner, John Gavin, Sandra Dee
Sirk, regista poco apprezzato mentre era in attività e rivalutato solo successivamente, mette molto bene in scena una sceneggiatura drammatica che a primo acchito può sembrare la solita storia di raggiungimento di obiettivi, con conseguenti fama e denaro, ma è ben altra cosa. Mascherati dietro buoni sentimenti (per lo più comunque basati su egoismo, prevaricazione e possessività) si trovano invece incomprensioni, ricatti morali, prese di coscienza tardive, ipocrisia, arroganza, arrivismo. L’ambiente apparentemente tutto rose e fiori pian piano si rivela essere in effetti un covo di vipere.
Apprezzatissimo dai critici della “vita di società”, tutta fatta di formalismi con pochissima vera sincerità.
IMDb 7,9 RT 84%  *  2 Nomination Oscar, entrambe per attrici non protagoniste: Juanita Moore e Susan Kohner (madre e figlia nel film)

 
220 “Il tempo dei gitani” (Emir Kusturica, Yug/ Ita/UK, 1988) tit. or. “Dom za vesanje” * con Davor Dujmovic, Bora Todorovic, Ljubica Adzovic
Come precedentemente scritto, ho voluto guardare di nuovo questo film di Kusturica subito dopo “Ho incontrato anche zingari felici”, girato di 21 anni prima, in pieno regime Tito. L’ambientazione è sostanzialmente la stessa e tranne che per alcuni cambiamenti “tecnologici” dovuti al progresso, mentalità, tradizioni, leggi non scritte, prevaricazione, sesso e alcool fuori controllo, coltellate, povertà che contrasta con la ricchezza ostentata da altri, procedono come sempre. L’era Tito era terminata, ma la Jugoslavia esisteva ancora e solo un paio di anni più tardi sarebbe iniziata la sua disgregazione, in parte rapida e quasi pacifica (Slovenia e Croazia), in parte con lunghe e sanguinose guerre fratricide/religiose. I gitani, zingari, rom o comunque li si voglia chiamare, restavano una popolazione a sé con le loro usanze, “leggi”, modi di vivere spesso nomadi, al limite della società “civile” (?).
Specialmente nella seconda parte, con il viaggio in Italia del protagonista, “Il tempo dei gitani” si distacca dall’ambiente chiuso del villaggio jugoslavo e mostra il peggio dei rom, come se fossero tutti malviventi, ma allo stesso tempo punta il dito sullo sfruttamento dei minori.
Kusturica senza dubbio è stato molto influenzato da “Skupljaci perja” (1967) ma si distacca molto dallo stile realistico di Aleksandar Petrovic e, per film come questo, secondo me ciò è un punto negativo in quanto quelli che sanno di meno non sempre riescono a distinguere le parti oniriche e surreali dalle situazioni reali, ancorché incredibili per molti. In questo modo si posiziona fra il documentarismo e la favoletta con personaggi “strani” senza una linea ben definita. Il regista bosniaco negli anni ’80 era un enfant prodige, ottenendo Leone d'oro a Venezia con “Ti ricordi di Dolly Bell?” (1981, film d’esordio), Palma d'oro a Cannes con “Papà... è in viaggio d'affari” (1985) e con questo suo terzo film fu premiato come miglior regista a Cannes, oltre alla Nomination per la Palma d’Oro.
Personalmente, fra i due preferisco il film di Petrovic ma certo non disprezzo quello di Kusturica. In ogni caso, date le numerose similitudini, penso che sia opportuno guardarli entrambe e a breve distanza di tempo fra loro. Non si potrà fare a meno di trarne interessanti valutazioni, sia antropologiche che cinematografiche.
IMDb 8,3 RT 100%  *  Nomination Palma d’Oro e Premio come miglior regista a Cannes 1989

 

219 “Ho incontrato anche zingari felici” (Aleksandar Petrovic, Yug, 1967) tit. or. “Skupljaci perja” (trad. lett.: Il compratore di piume) * con Bekim Fehmiu, Olivera Katarina, Velimir 'Bata' Zivojinovic
Dopo i due film di Ray in ambienti molto “americani” passo ad un’altra coppia di tutt’altro genere, etnia, condizioni sociali. Il regista Petrovic fu uno dei maggiori esponenti del quasi del tutto sconosciuto neorealismo jugoslavo degli anni ’60, in pieno periodo Tito. In questo film propone una storia quasi completamente ambientata nei dintorni di Vojvodina, Serbia, dove vivevano numerosi gruppi di “zingari”. Questo sembra essere stato il primo film interpretato da membri di dette comunità, parlato nel loro idioma, girato nei loro villaggi fra fango e poverissime case dall’aspetto affascinante, con la sola aggiunta di pochi attori professionisti come Bekim Fehmiu, bosniaco di Sarajevo; benché sconosciuto all'epoca molti lo ricorderanno per essere poi stato l'Ulisse della versione televisiva italiana dell'Odissea (1968), nella quale Irene Papas era Penelope.
Il film ebbe immediatamente un enorme successo in patria e all’estero, dove ottenne numerosi riconoscimenti importanti come il Grand Prix a Cannes, e fu anche candidato all’Oscar come miglior pellicola non in lingua inglese. “Skupljaci perja” quest’anno è stato riproposto al Festival di Cannes in versione restaurata. In questo articolo https://www.festival-cannes.com/en/69-editions/retrospective/2017/actualites/articles/gypsy-songs-at-cannes-classics è riportata un’intervista con Radmila Petrovic (che oggi cura le sue opere di suo fratello Aleksandar, morto nel 1994) nella quale si apprendono interessanti particolari, fra i quali anche il fatto che la canzone principale del film (Djelem Djelem, del 1949) pur essendo interpretata da Olivera Vuco (attrice, serba e non rom) acquisì immediatamente enorme popolarità e nel 1971 fu ufficialmente dichiarata “inno del popolo Rom” dai delegati del primo Congresso Mondiale Rom svoltosi a Londra nel 1971.
Non tento nemmeno di accennare alla ricchissima trama, essendo questa piena di tradimenti, passioni, duelli, feste, musica, fughe, matrimoni, ubriacature, contrattazioni, centinaia di magliaia di oche e milioni di piume.
Aleksandar Petrovic fu non solo il regista ma anche unico sceneggiatore di questo film. Inevitabile la successiva nuova visione de “Il tempo dei gitani” di Kusturica (1988) con tante situazioni molto simili ... anche 20 anni più tardi.
Vi segnalo anche questa interessante recensione (con trama dettagliata = spoilers) http://www.ce-review.org/00/41/kinoeye41_partridge.html
IMDb 8,0 RT 90%  * 
Nomination Oscar film straniero 1968 - Grand Prize of the Jury e FIPRESCI, Nomination Palma d’Oro a Cannes 1967 - Nomination Golden Globe film straniero 1969

 

218 “Bigger Than Life” (Nicholas Ray, USA, 1956) tit. it. "Dietro lo specchio“ * con James Mason, Barbara Rush, Walter Matthau
Film drammatico difficile da categorizzare ... c'è la quasi perfetta famiglia americana, la scuola, la malattia, una nuova cura, una progressiva aggressività del protagonista che tende alla psicopatia, religione mal interpretata, singolari metodi didattici ... nel complesso un si potrebbe definire un dramma familiare con momenti di suspense, cambiamenti dovuti al sapere di avere pochi mesi di vita, solidi legami affettivi.
Particolarmente buone le interpretazioni di James Mason, Barbara Rush, mentre si nota che Walter Matthau è ancora “acerbo” (appena al suo terzo film, avendo esordito l’anno precedente, già 35enne) . In quanto alla regia si potrebbe dire: Nicholas Ray colpisce ancora, sempre affidabile, non sbaglia un colpo!
IMDb 7,6 RT 93%

 

217 “In a lonely place” (Nicholas Ray, USA, 1950) tit. it. "Il diritto di uccidere“ * con Humphrey Bogart, Gloria Grahame, Frank Lovejoy
Ottimo noir che non avevo mai neanche sentito nominare, ma di quelli senza gangster o criminali, con poca, anche se importante, presenza della polizia. Interessante l'ambientazione hollywoodiana, con uno sceneggiatore (Bogart) come protagonista, e attorno a lui agenti, attori a fine carriera, attrici in cerca di un ruolo, produttori, ecc.
L'instabile Dixon Steele (Bogart) è sospettato di omicidio e nonostante la sua apparente indifferenza è sempre pronto a scatti di ira violenta e (quasi) incontrollata che non fanno altro che alimentare i dubbi su di lui. La immancabile love story complica ulteriormente la situazione in un crescendo di tensione e suspense fino a un intelligente finale.
Un gran bel film, magistralmente diretto da Nicholas Ray, regista sul quale si può sempre contare.
IMDb 8,0 RT 97%

 

216 “O Brother, Where Art Thou?” ” (Joel Coen e Ethan Coen, USA, 2000) tit. it. " Fratello, dove sei?“ * con George Clooney, John Turturro, Tim Blake Nelson
Pur essendo un "ammiratore" dei Coen, devo dire che sono rimasto abbastanza deluso da questo film. C’è qualche buono spunto, in particolare i riferimenti al mitico Robert Johnson e la leggenda del Devil’s crossroad (ma quanti non americani conoscono questa storia e quindi colgono la citazione?) e a Baby Face (famoso rapinatore degli anni ‘30 rappresentato in vari film il più famoso dei quali è “Dillinger” - John Milius 1973 - Warren Oates è Dillinger e Richard Dreyfuss Baby Face Nelson).Nel complesso mi è sembrato troppo disunito, quasi una serie di gag assemblate alla bell'e meglio. Per di più gli attori principali recitano sempre sopra le righe e non offrono di certo le loro migliori performance. In particolare Turturro, anche lui simpatico e apprezzato per alcune sue produzioni e interpretazioni, sembra essere più del solito schiavo del suo volto quasi deforme e del suo sguardo stralunato. Siamo ben lontani dalle vere black comedies per le quali i Coen sono apprezzati come il loro film di esordio Blood simple, e poi Fargo, ... fino a No Country for Old Men.
Piacevole, ma silly e di second’ordine rispetto alla maggior parte delle altre commedie degli stessi autori.
2 Nomination Oscar (sceneggiatura e fotografia), Nomination Palma d'Oro a Cannes
IMDb 7,8 RT 77%

 

215 “Pickpocket” ” (Robert Bresson, Fra, 1959) tit. it. "Diario di un ladro“ * con Martin LaSalle, Marika Green, Jean Pélégri
Meno avvincente del precedente “Un condamné à mort s'est échappé” in quanto troppo frequentemente si sofferma nel mostrare lunghe serie di borseggi (letteralmente “pickpocket” significa “borseggiatore”, non un generico “ladro”) con la voce del protagonista che talvolta descrive le tecniche, altre volte le altalenanti sensazioni di paura, orgoglio, timore, autocompiacimento, ...
Tutto ciò a discapito del sottile gioco del gatto con il topo condotto dal commissario che lo tiene d’occhio, del legame con la madre malata e del rapporto con la giovane Jeanne. Oltretutto, pur mostrando tecniche di borseggio reali, per riprenderle in dettaglio le mostra troppo evidentemente e sfacciatamente da rendere la situazione abbastanza improbabile.
Resta comunque un buon film dallo stile impeccabile, con la recitazione essenziale (spesso volutamente fredda) dei protagonisti, tutti esordienti.
Trovato il canale giusto, mi metterò alla ricerca degli altri film di Bresson fino agli anni ’60 che non ho avuto modo di guardare.
IMDb 7,8 RT 97% * Nomination Orso d'Oro a Berlino

 

214 “Un condamné à mort s'est échappé ou Le vent souffle où il veut” ” (Robert Bresson, Fra, 1956) tit. it. "Un condannato a morte è fuggito“ * con François Leterrier, Charles Le Clainche, Maurice Beerblock
Film rigoroso, meticoloso, con grande attenzione ai dettagli. Voce narrante del protagonista che rende quindi il film un unico flashback, dialoghi ridotti al minimo anche perché ai prigionieri era ufficialmente vietato parlare fra loro.
Sceneggiatura basato sulla vera storia di André Devigny, partigiano francese, che in un memoriale descrisse meticolosamente la sua permanenza in prigione e il modo nel quale riuscì a fuggire dopo essere stato condannato a morte dal tribunale militare d’occupazione tedesco, nel 1943. In minima parte autobiografico (nel senso di solidarietà e comprensione nei confronti dei prigionieri politici dell’epoca) in quanto lo stesso Bresson fu incarcerato per un certo tempo.
Il protagonista del film, il tenente Fontaine, è interpretato daFrançois Leterrier, attore non professionista che successivamente sarebbe diventato regista e sceneggiatore, ma come attore partecipò solo ad un altro film, in una piccola parte in “Stavinski” (Alain Resnais, 1974, con Jean-Paul Belmondo).
Ottima la fotografia in b/n che, con il montaggio e la regia, rende il film quasi un saggio complessivo di linguaggio filmico.
IMDb 8,2 RT 100% * Nomination Golden Globe e premio miglior regista e Nomination Palma d'Oro a Cannes

 

213 “The River” ” (Jean Renoir, Fra/UK/India/USA, 1951) tit. it. "Il fiume “ * con Patricia Walters, Nora Swinburne, Esmond Knight
Film generalmente molto apprezzato, che tuttavia ha anche raccolto un buon numero di critiche. Tecnicamente ottimo è un vero e proprio omaggio all'India e alla sua diversità culturale, ma proprio per questo è stato tacciato di pressapochismo, rappresentando una popolazione felice, povera ma serena, con i coloni inglesi gentili, integrati, benevolenti e rispettosissimi degli autoctoni, basandosi più sul folklore per come era più o meno conosciuto in Europa (visto e giudicato con occhi europei, raccontato dai ricchi).
Troppo spesso tende ad essere quasi documentaristico, proponendo feste, tradizioni, attività artigianali e industriali descritte dalla voce fuori campo della protagonista che narra il suo periodo di "coming of age" che quindi viene presentato come un unico, lungo flashback. Buona parte della storia è abbastanza scontata e prevedibile, sia in quanto agli amori (più che altro infatuazioni giovanili) sia per ciò che riguarda le storie di contorno (p.e. il bambino). Resta quindi solo una bella fotografia che sfrutta al meglio le possibilità del Technicolor nelle riprese degli esterni (villaggio, mercato e, ovviamente, fiume) e nel descrivere la vita “spensierata” nelle magioni coloniali.
In conclusione è bello da vedere, ma chi ha avuto l’occasione e l’accortezza di guardare i primi film di Satyajit Ray (tutti di livello molto superiore benché in b’n, a cominciare dalla “trilogia di Apu”) sa benissimo che la vita nell’India a metà del secolo scorso era ben altra cosa.

 
IMDb 7,6 RT 87% * 2 Nomination BAFTA, premio internazionale e Nomination Leone d’Oro a Venezia

212 “Accident” ” (Joseph Losey, UK, 1967) tit. it. “L’incidente” * con Dirk Bogarde, Stanley Baker, Jacqueline Sassard, Michael York
Altra collaborazione di Losey con Harold Pinter (drammaturgo, regista e attore teatrale, sceneggiatore, scrittore e poeta britannico, Nobel per la letteratura nel 2005). Ancora una volta si trattadi una storia sottile, nella quale i ruoli di prede e predatori non sono mai del tutto chiari. Stavolta viene proposta quasi tutta come un lungo flashback, ma c'è anche un seguito all'incidente menzionato nel titolo, con un finale aperto a varie interpretazioni.
Ritroviamo Dirk Bogarde (servitore/maggiordomo in “The Servant”), stavolta professore di filosofia ad Oxford alle prese con un complesso intreccio sentimentale. Devo dire che questo film, pur essendo più che apprezzabile, mi ha convinto meno di quello guardato appena prima, l’appena citato “The Servant”, in parte per la trama, in parte per il cast nel suo complesso.
Questa volta la sceneggiatura di Pinter è un adattamento di un romanzo di Nicholas Mosley.
Nomination Golden Globe e gran premio della giuria e Nomination Palma d'Oro a Cannes
IMDb 7,1 RT 86%

 

211 “The servant” ” (Joseph Losey, UK, 1963) * con Dirk Bogarde, Sarah Miles, Wendy Craig
Seconda sceneggiatura cinematografica di Pinter, subito dopo “The Caretaker”, dello stesso anno (regia di Donner, con un ottimo trio di protagonisti: Alan Bates, Donald Pleasence, Robert Shaw.
Da parte sua, Losey ha messo mirabilmente in scena il sottile gioco psicologico nel quale i ruoli iniziali vengono completamente sovvertiti, dirigendo un più che valido, seppur ridotto, cast nel quale spicca Dirk Bogarde con al lato la giovane Sarah Miles, appena al suo secondo film. Il regista americano (trasferitosi in UK dopo essere stato accusato di attività sovversive, la tristemente nota “caccia alle streghe” del maccartismo) cura maniacalmente quasi ogni inquadratura e si è certamente sbizzarrito con originali punti di ripresa delle scale e nelle composizioni attorno agli specchi.
Invito a leggere questo interessante articolo che spiega le origini di questo lavoro, ispirato da una situazione reale, trasformato in racconto da Robin Maugham (nipote del ben più famoso Somerset) e infine adattato a sceneggiatura da Pinter. L'originale era certamente più osé e necessariamente è stato trasformato per il cinema ... infatti negli anni '60 l'omosessualità era ancora un reato.
IMDb 7,9 RT 69%
  *  3 premi e 5 Nomination BAFTA

 

210 “Entre tinieblas” (Pedro Almodóvar, Spa, 1983) tit. it. “L'indiscreto fascino del peccato” * con Cristina Sánchez Pascual, Julieta Serrano, Marisa Paredes, Carmen Maura, Cecilia Roth, Chus Lampreave
Film dei primi anni di Almodóvar, reputato “minore”, secondo me sottovalutato. I meriti del regista manchego non risiedono tanto nella regia quanto nella sceneggiatura, della quale è autore unico. La storia è pressoché folle = geniale, con tante sorprese e coincidenze fortuite, personaggi e situazioni che definire singolari sarebbe estremamente riduttivo, conditi con tanti dettagli da cogliere negli sfondi, nelle scritte, nei colori (con tanti soliti rossi), fino ovviamente a Pupo, un enorme “tigrotto” giocherellone.
In “Entre tinieblas” ritroviamo tante delle muse di Almodóvar, che molti avranno visto nei suoi film successivi più famosi.
L’ho trovato sagacemente divertente, estremamente caustico nei confronti delle istituzioni religiose al di là dell’essere ambientato in un convento ... molto particolare.
Piacevole commedia per spettatori attenti. Consigliato.
IMDb 6,6 RT 69%

 

209 “Cabeza de Vaca” (Nicolás Echevarría, Mex, 1991) * con Juan Diego, Daniel Giménez Cacho, Roberto Sosa
Molto vagamente basato su veri avvenimenti del periodo de “la Conquista” mi è sembrato una occasione persa. Il film segue le peripezie di Alvar Núñez Cabeza de Vaca, riprendendo quanto da lui stesso scritto dopo essere rimasto “in balia” degli indigeni dal 1528 al 1536, prima di riunirsi ad altri conquistadores. Vengono proposti fatti abbastanza incredibili, probabilmente veramente narrati da Alvar Núñez ma molto romanzati o inventati di sana pianta come era abitudine di quelli che tornavano in patria dopo una spedizione nelle Indie.
Le poco credibili scene nel deserto (incluso il tentativo di costruzione di una cattedrale e il trasporto da parte degli indigeni di una enorme croce bianca) non contribuiscono a dar corpo a quello che doveva essere l’obiettivo primario di Echevarría (anche sceneggiatore), vale a dire rivisitare la storia e riproporre l’annoso quesito di chi fossero i buoni e chi i cattivi, chi i religiosi e chi i selvaggi da convertire.
Parte delle riprese nei due set principali (uno nella foresta e uno nel deserto) non sono male, similmente Juan Diego e Daniel Giménez Cacho riescono a fornire prove abbastanza convincenti, ma non eccelse, in ruoli non proprio facili.
IMDb 7,0 RT 75%
PS - Guillermo Del Toro collaborò al film in qualità di "special makeup effects artist" ... sì, proprio quello che ha da poco vinto un paio di Oscar

 

208 “Luponini” (El terror de Chicago) (José Bohr, Mex, 1935) * con José Bohr, Anita Blanch, Carlos Villatoro
Spesso risulta interessante sapere qualcosa di registi e cineasti in genere. Conoscere il cv di Bhor rientra in questa casistica. Figlio di un veterinario tedesco responsabile dei cavalli del sultano turco, trasferitosi in Argentina per questioni politiche, poi in Cile, Messico e USA (Hollywood), è stato regista, attore, sceneggiatore, compositore (autore di oltre 200 pezzi, soprattutto tango, fra i quali il famoso "Farolito"). Quest’ultima sua attività è quella nella quale è riuscito meglio, in tutte le altre oserei dire che si è divertito creando comunque prodotti più che degni.
In particolare in questa gangster story, dallo stile più americano che messicano, oltre ad essere regista e ad interpretare il protagonista Luponini, è stato co-sceneggiatore, produttore e autore delle musiche.
Sapendo tutto ciò e inquadrandolo nel suo periodo (metà degli anni ’30), è un film che merita una visione.
IMDb 6,9

 

206 “El desencanto” (Jaime Chávarri, Spa, 1976) trad. lett. “Il disincanto” * con Felicidad Blanc, Juan Luis Panero, Leopoldo María Panero
IMDb 8,2 RT 100%
207 “Tren de sombras” (José Luis Guerín, Spa, 1997) tit.int. “Train of Shadows” * con Jessica Andrieu, Anne Céline Auche, Juliette Gautier
IMDb 7,5 RT 90%
Questi 2 film/non film, tecnicamente buoni e interessanti, ma poco convincenti e ancor meno coinvolgenti erano gli ultimi due che mi mancavano per completare la visione di tutti i 50 titoli considerati i migliori spagnoli fino al 2013 dai responsabili del sito cinemaadhoc.info, si trovano rispettivamente al 43° e al 25° posto.
Il primo è apertamente classificato come documentario, ma consiste quasi esclusivamente di interviste con Felicidad Blanc, vedova del poeta Leopoldo Panero (1909-1962), e dei loro 3 figli. Si tratta quindi di una costruzione essenziale e sui generis, con lunghi racconti e ricordi dei rapporti con il defunto e solo in pochi casi si assiste a una specie di dialogo quando un paio di loro non sono d’accordo su qualche punto. Si sollevano certo argomenti interessanti (politici, poetici, familiari, sociali, ...) ma alla fine si giunge a conoscere più il carattere dei vivi che quello del poeta scomparso.
Il secondo lo definirei un film sperimentale in quanto in circa un’ora e mezza combina riprese originali mute degli anni ’20 (chiaramente in b/n) e riprese più moderne a colori con i sol rumori d’ambiente. In particolare quelle a colori sono di ottimo livello con sapienti scelte di luce e colori, dettagli degli arredamenti della antica casa, giochi di specchi, fogliame, esterni in ambiente naturale, e si combinano con fotogrammi rigati o macchiati, riavvolgimenti, rallentamenti, fermo immagine, partizioni schermo, il tutto con completa assenza di dialoghi.
Le notizie riportate in apertura forniscono un vago indizio sul senso del film (se così si può chiamare) le tante tracce devono essere individuate, comprese e assemblate a dovere per poter dare un senso al tutto. Tuttavia, alla fine mi sembra che resti solo esercizio di cinema (o semplicemente di fotografia e montaggio) per quanto buono possa essere.

 

205 “El mundo sigue” (Fernando Fernán-Gómez, Spa, 1965) trad. lett. “Il mondo continua” * con Lina Canalejas, Fernando Fernán Gómez, Gemma Cuervo
La lista di film spagnoli alla quale accennavo nel precedente post continua a dimostrarsi affidabile. Infatti, intercalati ai soliti Viridiana, Bienvenido Mr. Marshall, El verdugo, Muerte de un ciclista, Calle Mayor, ecc. si trovano titoli meno conosciuti che ai suddetti hanno poco da invidiare. Questo è anche il caso di “El mundo sigue” (diretto, interpretato e co-sceneggiato da Fernando Fernán-Gómez), posizionato al 10° posto in detta classifica.
Si tratta di un dramma familiare veramente notevole non tanto per la situazione, quanto per i personaggi, in particolar modo le due sorelle che non perdono occasione per scagliarsi l’una contro l’altra non solo verbalmente, ma anche fisicamente. Niente possono i genitori né il fratello quasi invasato religioso, e tantomeno il poco raccomandabile Faustino, marito di una delle due, interpretato da Fernán-Gómez. L’escalation della situazione è gestita alla perfezione, con brevi periodo di calma ai quali puntualmente seguono duri scontri personali, quasi tutti contro tutti.
una lista dei migliori 50 film iberici, stilata nel 2013.
Da non perdere.
IMDb 7,9

 

202 “Surcos” (José Antonio Nieves Conde, Spa, 1950) trad. lett. “Solchi” * con Luis Peña, María Asquerino, Francisco Arenzana * IMDb 7,8
203 “Los peces rojos” (José Antonio Nieves Conde, Spa, 1955) trad. lett. “I pesci rossi” * con Arturo de Córdova, Emma Penella, Félix Dafauce * IMDb 7,7
Dopo vari anni di attesa, sono riuscito ad ottenere questi due ottimi film di José Antonio Nieves Conde, su file di buona qualità. Si tratta dei suoi due film più famosi, apprezzati da (quasi) tutti, tant’è che pur essendo stati girati nella Spagna franchista degli anni ’50 sono presenti e ben quotati su vari siti internazionali a cominciare da IMDb. Il regista ha sempre avuto un rapporto conflittuale con il potere ma allo stesso tempo fu apprezzato anche dai burocrati del Caudillo. Fu uno dei primi e più importanti registi a portare il neorealismo italiano nella penisola iberica e in entrambe i film si fa esplicita menzione di tale stile. Certamente fu abile a rimanere nei limiti del provocatorio, senza dover essere censurato.
In particolare “Surcos” non fu troppo ben visto dal regime in quanto rappresentava una Madrid “assalita” da intere famiglie che venivano dalla campagna con l’illusione di avere vita facile, soldi e lavoro nella capitale, e invece trovavano miseria e una miriade di imbroglioni e profittatori.
Il secondo è di tutt’altro genere, essendo un ottimo thriller che vede il messicano Arturo de Córdova (attore poliedrico che si è distinto in ruoli drammatici in cult come “El” di Buñuel (1953), perfetto in commedie come “El esqueleto de la señora Morales” (1960), in thriller, film d’azione, ecc) nei panni del misterioso scrittore protagonista della storia creata da Carlos Blanco. Questi si occupò anche della sceneggiatura che nel 2003 è stata poi adattata per un remake dal titolo “Hotel Danubio” (diretto da Antonio Giménez Rico con Santiago Ramos e Carmen Morales come protagonisti) ... come quasi sempre accade molto inferiore all’originale.
I tempi di questo mistery sono quasi perfetti, fra visto e non visto, ascoltato, riportato senza riscontri, una persona scomparsa in mare, indagini della polizia, fortuite coincidenze, ...
Al di là del poter contare su due buone sceneggiature, José Antonio Nieves Conde dimostra di saper dirigere e in entrambe i casi il risultato complessivo è garantito anche da un bel bianco e nero a cast di livello.
Più che consigliati entrambi!
 

201 “Dallas Buyers Club” (Jean-Marc Vallée, USA, 2013) * con Matthew McConaughey, Jennifer Garner, Jared Leto
Al contrario dell’ultimo film guardato (Silver Lining Playbook) mi ero avvicinato a “Dallas Buyers Club” in modo molto più titubante ma l’ho apprezzato molto di più. Al di là dei temi trattati, il regista canadese Jean-Marc Vallée qui dà il meglio di sé e indubitabilmente “Dallas Buyers Club” resta al momento il suo miglior lavoro. Dirige alla perfezione attori non molto noti e c’è da credere che è grazie alla sua guida che Matthew McConaughey, e Jared Leto siano riusciti a fornire prove di gran livello; penso che buona parte dei loro due Oscar sia dovuto alla regia, per la quale Vallée avrebbe meritato almeno la Nomination.
Fra gli altri, c’è anche un quasi irriconoscibile Griffin Dunne (protagonista del cult di Scorsese “After Hours” - “Fuori orario”, 1985 ... che fine aveva fatto?) nei panni di un dottore radiato dall’albo negli States.
Certamente è un film duro, che si sviluppa in un ambiente al margine della società “benpensante” (almeno di facciata), fra sesso, droga, rodei, scommesse e alcool. Eppure i “peggiori” non sembrano essere quelli che abusano in queste attività, bensì i rappresentanti delle istituzioni, specialmente in campo medico, che per questioni economiche e puro tornaconto non forniscono la dovuta assistenza a quelli che ne avrebbero bisogno.
In questo scenario, il protagonista Ron Woodroof (il film è ispirato alla sua vera storia) si erge a paladino dei diseredati, malati terminali di AIDS, transgender e omosessuali, pur essendo un inveterato omofobo.
Molto ben girato, con un ottimo montaggio e un apprezzabile commento musicale che alterna lunghi momenti di silenzio assoluto a motivi country e latini.
Assolutamente consigliato.
IMDb 8,0 RT 93%
3 Oscar (Matthew McConaughey protagonista, Jared Leto non protagonista, makeup) + 3 Nomination (miglior film, montaggio e sceneggiatura)

Per informazioni generiche, tecniche e recensioni  dei film consiglio di consultare i seguenti siti:

IMDb (Internet Movie Database) : il più completo, la Bibbia del Cinema, con archivio di 3.5mln di titoli e quasi 7mln di nomi (in inglese)

Rotten Tomatoes : meno dati di IMDb, raccoglie soprattutto recensioni in rete, quindi carente su film datati (in inglese, con numerose recensioni in spagnolo)

Film Affinity/es : trovo che sia il più completo per quanto riguarda film spagnoli e dell'AmericaLatina (in spagnolo)

Allo Ciné : sopratutto cinema francese, ma non solo (in francese)

 Upperstall.com  : specializzato in cinema indiano. uno dei più frequentati al mondo fra i siti che si occupano di cinema  (in inglese)

per ricevere o fornire informazioni cinematograiche potete scrivermi a giovis@giovis.com

     

*****    *****

Informativa generale privacy

www.giovis.com