POST CINEMATOGRAFICI

indice completo dei  1300 film 2016 - 2018

lista film (pdf)  2015   2014   2012-13

2016

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301 - 350

351 - 403

 

2017

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151 - 200

201 - 259

260 - 299

300 - 349

350 - 399

400 - 443

2018

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401 - 454

2019

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301 - 350

351 - 409

 

2020

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201 - 250

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301 - 350

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401 - 444

2021

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351 - 388  

2022

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micro-recensioni dei film del 2018   (dal 400° al 351°)


leggi tutte le 50 micro-recensioni (in basso, dopo i poster)

Raúl Arévalo, Spa, 2018

José Enrique Pintor, Dom, 2018

aavv, Spa, 2017-18

Carlos Saura, Spa, 1964

Andrea Jaurrieta, Spa, 2018

N. Cabral, O. Estrada, Dom, 2017

aavv, mix, 2017-18

Jimena Montemayor, Mex, 2017

Marcelo Martinessi, Par/Bra, 2018

Celia Rico Clavellino, Spa, 2018

Laura Plancarte, Mex/UK, 2017

Rafael Martínez Moreno, Col, 2017

Archie Lopez, Dom, 2017

Arantxa Echevarria, Spa, 2018

Fernando Bernués, Spa, 2018

Archie Lopez, Dom, 2016

Nicolás Puenzo, Arg/Cile, 2017

Arturo Ripstein, Mex, 2006

Xavi Sala, Mex, 2017

Carolina Jabor, Bra, 2017

Mabel Lozano, Spa, 2018

Kenji Mizoguchi, Jap, 1953

Alfred Hitchcock, USA, 1954

Alfred Hitchcock, USA, 1950

Alfred Hitchcock, USA, 1941

Kenji Mizoguchi, Jap, 1946

Yimou Zhang, Cina, 1999

Yimou Zhang, Cina, 1999

John Carroll Lynch, USA, 2017

Jeong-hyang Lee, Kor, 2002

Alfred Hitchcock, USA, 1953

Roberto Gavaldon, Mex, 1950

Brian Helgeland, UK, 2015

François Truffaut, UK, 1966

J. P. Rebella y P. Stoll, Uru, 2001

Alfred Hitchcock, USA, 1944

Juan Bustillo Oro, Mex, 1940

Kenji Mizoguchi, Jap, 1951

Jorge Fons, Mex, 1974

Keisuke Kinoshita, Jap, 1964

Keisuke Kinoshita, Jap, 1961

Keisuke Kinoshita, Jap, 1959

Xavier Legrand, Fra, 2017

Keisuke Kinoshita, Jap, 1959

Rubén Gámez, Mex, 1965

 Carlos E. Taboada, Mex, 1967

 Carlos E. Taboada, Mex, 1973

T. Gutiérrez Alea, Cuba, 1993

Alonso Ruizpalacios, Mex, 2018

Alberto Isaac, Mex, 1964

400 “Tarde para la ira” (Raúl Arévalo, Spa, 2016) tit. it. “La vendetta di un uomo tranquillo” * con Antonio de la Torre, Luis Callejo, Ruth Díaz
IMDb 6,8 RT 100% * Ruth Díaz premiata a Venezia come migliore attrice e Nomination Leone d’Oro per Raúl Arévalo
Proiezione speciale del 44° Festival de Huelva - Cine Iberoamericano
Classico revenge movie, narra di una vendetta a lungo pianificata e infine portata a termine con freddezza e decisione. Il protagonista è Antonio de la Torre, uno dei migliori attori spagnoli di questo decennio, già protagonista di “La isla minima” (2016), “Que Diós nos perdone” (2016) e del recentissimo e apprezzato “La noche de 12 años” nel quale interpreta Pepe Mujica, poi divenuto Presidente dell’Uruguay.
Film di genere ben realizzato, vale la pena di guardarlo.

 

399 “Mañana no te olvides” (José Enrique Pintor, Dom, 2017) * con Stephany Liriano, Johnnie Mercedes, Francis Cruz
Sezione ufficiale del 44° Festival de Huelva - Cine Iberoamericano
A partire da una buona idea di combinare due persone con oggettivi limiti (nonno con Alzheimer e nipote con sindrome di Down), quasi rifiutati da genero/padre e invece sostenuti per quanto possibile da figlia/madre, José Enrique Pintor riesce a perdere l’occasione di realizzare un buon film di poco più di un’ora allungandolo a quasi due ore con inevitabili ripetizioni e scadendo nell’eccessivo sentimentalismo. Ovviamente la neo-coppia, inseguendo sogni di indipendenza e tentando di portare a termine la propria lista di desideri, combinerà qualche pasticcio ma fornisce anche vari spunti da commedia.
Non male, bravi interpreti, ma in sostanza un’occasione persa.

 

398 Cortometrajes Nacionales (aavv, Spa, 2017-18)  *  Sezione ufficiale del 44° Festival de Huelva - Cine Iberoamericano
I 10 corti spagnoli selezionati mediamente si sono rivelati meno interessanti di quelli internazionali, il ché è abbastanza logico. Fra un paio di documentari, un paio di film animazione e gli altri che variavano dal drammatico alla commedia, sono da segnalare:
* El prenauta (Elías Pérez, 2018, 19’) - impegnativo corto in costume, che racconta l’evento (storicamente non confermato) di un incontro di Colombo con un naufrago che per puro caso aveva attraversato l’Atlantico e aveva con sé una maschera di legno che dimostrava l’effettivo incontro con altra cultura. Ciò sarebbe stato quindi l’evento che avrebbe spinto il navigatore a perseverare nelle sue teorie.
* La Lección (Hugo Gómez, 2017, 13’) - interessante corto fra thriller e black comedy, ma a soggetto molto serio: lo sfruttamento minorile nelle fabbriche costruite nei paesi poveri dalle grandi multinazionali.
* Ranchera (Joaquín Gómez, 2016, 6’) - corto veramente corto, toni da commedia con una discussione composta di battute taglienti fra due donne, in un’auto.
Notizie e dati di tutti i 10 corti presentati sono in questa pagina

 

397 “Llanto por un bandido” (Carlos Saura, Spa, 1964) tit. it. “I cavalieri della vendetta” * con Francisco Rabal, Lino Ventura, Lea Massari, Philippe Leroy, Luis Buñuel * IMDb 6,8
Ho recuperato questo secondo film di Saura, girato dopo l’esordio con il buon “Los golfos” (1960, che ricorda vagamente “Los olvidados” di Buñuel, del 1950) e prima dell’ottimo “La caza” (1966). Questo “Llanto por un bandido” (con il solito insulso titolo italiano) è una co-produzione spagnola-francese-italiana con conseguente cast internazionale di attori noti come Francisco Rabal, Lino Ventura, Lea Massari e Philippe Leroy, ma conta anche sulla partecipazione (muta) di Luis Buñuel nella parte del boia (scena iniziale, seconda foto allegata).
Si riferisce a veri eventi storici quali l’ascesa e morte del bandito gentiluomo, quasi un Robin Hood andaluso, “El Tempranillo” (1805-1833). Non è certo fra i migliori di Saura, ma certamente è ben realizzato ... penso che sia rimasta l’unica incursione del regista spagnolo in questo genere che, evidentemente, non gli si addice.
Da guardare più che altro per curiosità storica, senza grandi aspettative.

 

396 “Ana de día” (Andrea Jaurrieta, Spa, 2018) tit. int. “Ana by Day” * con Ingrid García Jonsson, Fernando Albizu, María José Alfonso, Iñaki Ardanaz  *  IMDb 6,8
La protagonista di questo interessante film è Ingrid García Jonsson, alla quale è stato attribuito il Premio Luz di questa edizione. Di famiglia borghese, pronta a completare il dottorato in legge e a sposarsi improvvisamente si trova spodestata da tutto ciò da una sua sosia che prende in tutto e per tutto il suo posto. Dopo una prima reazione incredula, decide di lasciare “all’altra” la sua vita e iniziarne una nuova ... questa è solo la premessa.
Come è chiaro, la situazione si presta a molte interpretazioni e vari sviluppi condizionati anche dai vari personaggi che Ana incontra.
Solo l’ultima parte rimane un po’ confusa in quanto sembra proporre più soluzioni e il vero finale è enigmatico.
Brava Ingrid García Jonsson, così come i vari coprotagonisti della sua della sua incredibile storia.

 

395 “Miriam miente” (Natalia Cabral e Oriol Estrada, Dom, 2018) tit. int. “Miriam Lies” * con Frank Perozo, Pachy Méndez, Ana Maria Arias * IMDb 7,1
Presentata in pompa magna dalla delegazione dominicana come “denuncia” del razzismo nel proprio paese, si è rivelata essere più un problema di incomprensione familiare che si va a sommare al stress del fatidico “coming of age ufficiale” delle ragazze di molti paesi centroamericani: la festa dei 15 anni. Per le quinzeañeras (le quindicenni festeggiate) si spende quasi quanto per un matrimonio e se non si hanno i soldi si fanno debiti. In questo ambito sorge il problema della mulatta Miriam, che ha tutte amiche “bianche”, che non vorrebbe festeggiare e che s’illude di avere un ragazzo (conosciuto in rete) che però è negro (il spagnolo latino non è offensivo).
Deludente anche quest'altro film dominicano e lo spagnolo Oriol Estrada, coregista insieme a sua moglie Natalia Cabral, ha smentito i dati forniti precedentemente in merito alle produzioni dominicane, dicendo che non arrivano a 30. Forse la delegata del Film Commission e l’addetto stampa hanno voluto inserire corti, documentari e film girati nel paese con capitali stranieri ...

 

394 “Cortometrajes Internacionales” (aavv, vari, 2017-18)
Il miglior corto dei 10 proposti è senza dubbio “Mamartuile” (Alejandro Saevich , Mex, 2017), una commedia fantasurrealpolitica di una dozzina di minuti che si sviluppa attorno all’improvvisa costituzione di una nuova nazione africana che crea un enorme problema al Messico. Geniale e molto ben realizzata ... prima o poi sarà disponibile online, penso anche con sottotitoli visto che il trailer è trilingue (spagnolo, inglese, francese)
Un’altra breve comedia negra meritevole molto graffiante è “La entrevista” (Fermín de la Serna, Arg, 2017, 12’) ma non al livello di “Mamartuile”.
Interessanti anche “Inmaculada” (Stephanie Sandoval, Cile, 2018, 16’), uno sguardo ironico sulle tradizionali rappresentazioni religiose in tempi moderni alle quali vengono quasi obbligate le adolescenti, e il drammatico “Harina” (Joanna Nelson, Ven, 2018, 15’) che narra del dramma (piccolo nella tragedia generale) della ricerca di un poco di farina per preparare un piccolo dolce di compleanno.
Notizie e dati di tutti i 10 corti presentati sono in questa pagina

 
393 “Restos de viento” (Jimena Montemayor, Mex, 2017) tit. int. “Wind Traces” * con Dolores Fonzi, Paulina Gil, Ruben Zamora * IMDb 7,1
Jimena Montemayor, al suo secondo lungometraggio, con questo film dimostra di avere le idee molto chiare in merito a ciò che vuole mostrare e al modo in cui lo presenta. Traspare chiaramente il suo passato da fotografa, anche se in questo caso si limita a essere regista e sceneggiatrice, lasciando il ruolo di direttore della fotografia a María Secco.
Dopo un inizio un po’ farraginoso, “Restos de viento” prende decisamente quota e diventa decisamente un bel film che si sviluppa fra mistero, psicologia, giochi infantili, dramma familiare. Bisognerà aspettare fino al termine per mettere insieme tutti i tasselli di una storia drammatica, piena di buoni sentimenti spesso mascherati.
Bravi i 3 protagonisti - l’argentina Dolores Fonzi nei panni della madre e i giovanissimi Paulina Gil (Ana, 10 anni ) e Diego Aguilar (Daniel, 7 anni) che interpretano i suoi due figli - ma soprattutto la regista sceneggiatrice Jimena Montemayor.
Più che consigliato.

 

392 “Las herederas” (Marcelo Martinessi, Par/Bra, 2018) tit. it. “Le ereditiere” * con Ana Brun, Margarita Irun, Ana Ivanova
IMDb 7,3 RT 96% * alla Berlinale 2018 ha ottenuto 3 premi (FIPRESCI, Orso d’argento a Ana Brun attrice, Martinessi regista) e 2 Nomination (Orso d’Oro e Opera prima)
Gli allori conquistati a Berlino facevano sperare molto di più. Non dico che “Las herederas” non sia un buon film, ma mi è sembrato estremamente lento, abbastanza ripetitivo e privo di vere sorprese; in quanto alla trama sembra quasi un coming of age molto ritardato (verso la sessantina).
Senz’altro brava Ana Brun, già attrice teatrale ma avvocato di professione, alla sua prima esperienza cinematografica. Interpreta una delle due “ereditiere” (Chela), la più tranquilla e sottomessa, che parla poco e si aggira silenziosa nella perenne penombra della grande e - una volta - ricca casa, che con l’avanzare del film viene mostrata sempre più spoglia. Chela, che è la vera protagonista, vive una dignitosa decadenza che procede di pari passo con una presa di coscienza, favorita da vari eventi che ovviamente ometto di raccontare.
“Las herederas” è uno dei pochi film ufficialmente del Paraguay (si parla di 5 o 6 l’anno) ma in effetti si tratta di una coproduzione che coinvolge tanti altri paesi quali Germania, Uruguay, Brasile, Norvegia e Francia. Qualcuno a proposto questo quesito: “Dove sono finite tutte queste risorse?”.
Anche per il regista Marcelo Martinessi questo è stato il primo lungometraggio.
Interessante visione.

 

391 “Viaje al cuarto de una madre” (Celia Rico Clavellino, Spa, 2018) tit. int. “Journey to a Mother's Room” * con Anna Castillo, Lola Dueñas, Pedro Casablanc * IMDb 6,7 RT 100%  *  2 Premi a San Sebastian (regista esordiente con menzione speciale e Premio dei giovani)
Film interessante, con una buona sceneggiatura ma fra le due protagoniste (madre e figlia, da poco rimaste vedova/orfana) non saprei scegliere qual è la più deprimente a causa delle loro continue ansie e indecisioni. La solitudine e il troppo affetto non producono buoni risultati.
Grande attenzione è stata posta nello stile molto originale, anche se non ho compreso il perché delle scelte della giovane regista sivigliana, al suo primo lungometraggio del quale è anche sceneggiatrice. Non ci sono movimenti di macchina, né zoom; me ne sono reso conto dopo una decina di minuti e pur prestando attenzione ho notato un solo lieve movimento verso la fine. Quasi tutto i film è girato in interni abbastanza scuri (nel piccolo appartamento nel quale vivono le protagoniste) e nella maggior parte dei casi le riprese sono d'infilata sfruttando porte aperte. Inoltre, in queste inquadrature fisse (spesso lunghe) molto resta fuori campo ma l'assenza di azione e/o personaggi è compensata dai rumori che indicano ciò che succede intorno o nella stanza attigua. Non c’è commento sonoro. Purtroppo dovevo correre a guardare il film successivo in altra sala e non ho potuto chiedere delucidazioni Celia Rico Clavellino, che era presente. Spero di poterlo fare domani.
Meritevole, aspettiamo a vedere cosa ci riserva Celia Rico Clavellino con il suo prossimo film.

 

390 “Hermanos/Siblings” (Laura Plancarte, Mex/UK, 2017) * doc
In questo documentario Laura Plancarte mette insieme tanti punti di vista di cittadini americani, messicani clandestini e messicani regolari in USA. All’inizio e alla fine dà voce a tutti in una specie di collage, mentre nella parte centrale, più lunga e approfondita, segue il viaggio di due fratelli Chuy e Chato (deportati in via definitiva dagli USA) che vanno ad incontrare la madre, che invece è lì regolarmente residente, alla frontiera di Tijuana, e parallelamente il viaggio di Vanessa (50enne americana che ha perso casa e lavoro) dalla California al Montana (suo stato di origine) e ritorno.
Tutti parlano del sogno americano, ma si scopre ben presto che i fratelli sono stati in galera e poi espulsi per traffico di droga e, in un certo senso, rimproverano alla madre di averli abbandonati. Invece Vanessa si dimostra razzista che ce l'ha con messicani, nativi indiani ecc, religiosa quasi invasata, repubblicana sfegatata che sostiene che neanche un dollaro delle tasse degli americani dovrebbe essere speso per assistenza a immigrati.
Interessante scontro di culture ... una donna dice che la peggior cosa al mondo è quella di nascere in Messico, in un pueblo indigena e donna; Vanessa, al contrario, sostiene che stanno meglio immigrati e ancor di più i nativi americani ai quali vengono forniti terreni, case, assistenza e sovvenzioni mentre i caucasici non hanno niente di tutto ciò (stranamente non tira in ballo gli afroamericani).

 

389 “El Piedra” (Rafael Martínez Moreno, Col, 2018) * con Manuel Álvarez, Isaac Martínez, Denis Mercado Moreno
Ennesima storia di boxe, ma molto diversa dalle altre. Si tratta di quei film che non insiste inutilmente su combattimenti che talvolta sembrano infiniti e occupano gran parte del tempo, ma parla della vita di alcuni dei protagonisti. In questo caso, il principale non è un aspirante campione ma un pugile a fine carriera che sopravvive con il lavoro di moto-tassista. Un solitario, conosciuto e benvoluto nel quartiere popolare dove vive a Cartagena, nota come capitale della boxe colombiana.
Come altri film latini, anche questo è molto realista e fra i tanti interpreti non professionisti molti sino ex pugili, di sicuro non campioni ma certamente leggende locali. Interpretano sé stessi, mentre passano il tempo chiacchierando sotto un portico a fronte strada o nella palestra e compaiono in scene volutamente quasi documentaristiche.
Non svelo niente dicendo che il punto di svolta è l'improvvisa apparizione di un ragazzino che afferma di essere figlio del pugile e che è venuto a cercarlo essendo rimasto orfano. Il regista si concentra quindi quasi esclusivamente sul lato umano di questo rapporto che fin dall'inizio si presenta difficile. Ci sono anche varie trame secondarie interessanti e il tutto è calato in un interessante ambientazione, descritta con inquadrature accorte e bella fotografia, commentata da una piacevolissima e singolare colonna sonora, ben distante dai ritmi caraibici che ci si potrebbe aspettare.
L'insolito e nuovo rapporto fra il pugile e il ragazzo in alcuni momenti mi ha ricordato "Moonlight" (Oscar 2017) ma, a dire il vero, questo "El Piedra" mi ha convinto ed è piaciuto di più.
Manuel Álvarez (El Piedra nel film) è stato pugile professionista, ha fatto parte della nazionale colombiana e ha vinto vari titoli, ma è al suo esordio (più che positivo) nel campo del cinema all’età di 48 anni. Il 13enne Isaac Martínez Cortez (13 anni) è cantautore in erba, ma già relativamente conosciuto.
A chi comprende lo spagnolo suggerisco la lettura di questo interessante articolo  

 

388 “Lotoman 003” (Archie Lopez, Dom, 2014) * con Raymond Pozo e Miguel Céspedes, Elizabeth Ruiz, Fernando Carrillo, Julián Gil
IMDb 6,8 * Sezione “Comedia iberoamericana” del 44° Festival de Huelva - Cine Iberoamericano
Altra commedia dominicana con Raymond Pozo e Miguel Céspedes (i protagonisti della serie Tuberculo), terzo episodio della saga Lotoman, di argomento fra il familiare e i film d'azione ma, a dispetto del pur esagerati personaggi Tubercolo e il suo vice non riesce neanche a fare una decente satira. Molto scadente.
Sarà pur vero che in Rep. Dominicana (come affermato in conferenza stampa d’apertura) si producono tanti film di buona “qualità tecnica” ma, se questo fosse il livello medio artistico e culturale, ci si dovrebbe formare una non lusinghiera opinione dei dominicani. Come giudicare gli italiani in base al successo dei cinepanettoni o programmi trash televisivi seguiti da milioni di persone ... triste realtà.

 

387 “Carmen y Lola” (Arantxa Echevarria, Spa, 2018) * con Rosy Rodriguez, Zaira Morales, Moreno Borja, Javier I. Bustamante, Rafaela León * IMDb 7,4 RT 89%
Arantxa Echevarría è stata la prima regista donna spagnola selezionata per la Quincena de Realizadores del Festival de Cannes, dove è stata anche candidata alla Golden Camera e alla Queer Palm * 2 Goya
Si può quasi parlare di moderno neorealismo, tutti esordienti i giovani protagonisti (donne e uomini) solo fra gli adulti qualcuno contava già qualche sporadica apparizione. Gli ambienti sono altrettanto originali, il quartiere di Madrid abitato per lo più da gitani, il mercato, la festa di fidanzamento secondo cerimoniale tradizionale. Carmen e Lola, la prima già promessa sposa, prendono coscienza del loro “amore impossibile” in quell’ambiente patriarcale, pieno di pregiudizi e certo non possono fare un coming out come succede da altre parti.
Film pieno di sensibilità in merito a tale argomento, di grande interesse antropologico per tutto il contorno come feste, musica, balli, vestiti, regole non scritte, aspirazioni “obbligatorie” per le donne (marito, figli e casa), routine quotidiana, gerarchie familiari.
Film scritto e diretto da una donna, conta su tante brave interpreti fra le quali spiccano senza dubbio le due ragazze protagoniste Rosy Rodriguez/Carmen e Zaira Morales/Lola e la bravissima Rafaela León nei panni di Flor (madre di Lola), l’intero cast appare vero e credibile probabilmente grazie al fatto di interpretare quasi sé stessi.
Drammatico al punto giusto e ben diretto, con tanta camera a spalla e presa diretta, merita senz’altro l’attenzione dimostrata fin qui dalla critica.
Non vorrei apparire pessimista, ma penso che purtroppo abbia poche possibilità di circolare in Italia, non solo per la poca attenzione dei distributori ma anche per la quasi impossibilità di un doppiaggio adatto, e si sa che con i sottotitoli i film da noi non vanno lontano.

 

386 “El Hijo del acordeonista” (Fernando Bernués, Spa, 2018) trad. lett. "Il figlio del fisarmonicista" * con Joseba Apaolaza, Eneko Arcas, Miren Arrieta
La proiezione di stamane, seppur per gli addetti stampa, è stata prima mondiale di questo film del regista basco Fernando Bernués che già 7 anni fa aveva adattato l’omonimo romanzo di Bernardo Atxaga per il teatro.
La storia si svolge i tre periodi distinti ed ha come protagonisti due amici d’infanzia che vengono mostrati brevemente da ragazzini, poi ventenni e infine cinquantenni. La storia è quindi molto diluita nel tempo e non viene proposta in modo lineare bensì con tanti flashback, forse troppi, con conseguenti cambi di attori per gli stessi personaggi. Fra quello che viene mostrato dei caratteri degli stessi, delle loro relazioni e degli eventi si viene a creare una intrico di dubbi e sospetti che solo alla fine verrà sciolto. In questo modo “El Hijo del acordeonista” diventa quasi un giallo, con una suspense che dura fino all’ultimo. Pertanto il regista è credibile quando afferma che, pur essendo incentrato sui problemi sociali/linguistici dei paesi di lingua basca (euskera), non è né un film politico e tantomeno sull’ETA, pur parlando tanto della repressione franquista nei paesi baschi e del conseguente terrorismo o lotta armata a seconda di punti di vista, fino all’amnistia del 77, dopo la morte del Caudillo.
Tuttavia, risalta evidente il suo essere chiaramente di parte indipendentista per l’uso eccessivo (e in buona parte inutile) dell’euskera. Mi spiego meglio: fin dalle scene iniziali si ascolta più volte la voce fuori campo del protagonista che parla in basco. Pur essendo d’accordo che in molti casi è importante, se non fondamentale, mostrare al pubblico chi parla in una lingua e chi in un'altra, sia per un fatto di identità culturale sia per far sapere chi capisce e chi no quello che dicono gli altri, per non parlare del fatto di ascoltare un tono di voce espressivo e vedere la sincronizzazione con i movimenti della bocca, nel caso di una voce fuori campo che parla di idee o ricordi mi sembra del tutto fuori luogo. Assodato che la versione originale è spagnola, si dovrebbero sottotitolare solo i dialoghi in differente idioma (in questo caso inglese ed euskera) e non i pensieri.
Su questo tema ho avuto un vivace “dibattito” (quasi un battibecco): si pensano parole, idee, ricordi o concetti? Io escludo decisamente le prime, lui diceva di pensare in euskera ... bah!
Non da ultimo, e pur essendo un acceso sostenitore delle versioni originali, oltre che controproducente mi pare irriguardoso nei confronti degli spettatori costringerli a leggere sottotitoli inutili. Come scritto appena ieri, mi sembra che ormai sia diventata più che altro una moda quella di utilizzare idiomi non ufficiali che spesso non hanno una giustificazione nel contesto del film ... uso necessario se non fondamentale dello zapoteco in “El ombligo de Guie'dani”, assolutamente inutile e insensato il quechua in “Los últimos”, valido per dialoghi ma non per i pensieri e ricordi l’euskera in “El Hijo del acordeonista”.
Mi ha consolato il fatto di trovare d’accordo quasi tutti i critici e cinefili presenti alla discussione.

 

385 “Tubérculo presidente” (Archie Lopez, Dom, 2016) * con Raymond Pozo e Miguel Céspedes, Elizabeth Ruiz, Jorge Pabón * IMDb 6,7
Secondo film con personaggio televisivo Tubercolo prestato al cinema. Dopo "Los ultimos" ero sicuro che qualunque film mi sarebbe andato bene e così, pur essendo una commedia caricaturale e semidemenziale tendente al cartoonish, "Tuberculo presidente" mi è apparsa più che passabile, fra qualche caduta di stile e varie divertenti originali gag che si rifacevano quasi alle comiche del muto, ma il regista Lopez è riuscito a inserirci anche una citazione di "Shining" (la nipotina di Tuberculo che scorrazza nei corridoi del palazzo presidenziale con il so triciclo) ed una scena di ballo collettivo in puro stile Bollywood. Oltre a ciò, non mancano intrighi, attentati, love story, sorprese e il tormentone dei documenti fraudolentemente fatti firmare al Presidente che non giungono mai a destinazione per i motivi più assurdi.
Come sottolineato in fase di conferenza stampa di presentazione, si tratta di un film dominicano per i dominicani, che certamente possono cogliere tante altre "caricature" del loro modo di essere, dei loro problemi, del loro modo di esprimersi e, soprattutto, di mangiare. Tutto ciò spiega molto e, probabilmente, sotto questo particolare punto di vista coglie nel segno.
Forse lo sto sopravvalutando ma, pur considerando genere, budget e pretese completamente differenti, rispetto a "Los ultimos" è quasi da Oscar ...

 

384 “Los últimos” (Nicolás Puenzo, Arg, 2017) * con Juana Burga, Peter Lanzani, Alejandro Awada, Natalia Oreiro
Sci-fi argentino con mania di grandezza, ma di scarso livello.
Veramente pessimo, senza né capo né coda, continuità zero, sonoro per lo più con sottofondo di esplosioni, motori di elicotteri e altri rumori di guerra, dialoghi penosi, recitazione abbastanza scadente e potrei continuare ... di positivo ci sono solo le significative riprese dell'ambiente, sia quello ancora naturale delle aree desertiche andine ricchissime di minerali fra Bolivia e Cile, sia quello delle miniere e cave abbandonate, con macchinari in pezzi e arrugginiti e acque luride dai colori molto inquietanti.
Nella conferenza stampa è stato presentato come una visione di un prossimo futuro, quando ci saranno problemi di carenza di acqua, migrazioni e guerre, ma non riesce a far capire chi è chi è per cosa combattono i tanti militari con sofisticatissime armi nel bel mezzo del niente.
Forse per questioni di marketing è stata scelta come protagonista la top model peruana Juana Burgo che forse è quella che recita meglio pur essendo all’esordio e in questo caso ha il physique du rôle essendo al limite dell'anoressia (come tante modelle).
Anche in questo film, come “El ombligo de Guie'dani” (di ben altro livello), si è scelto di usare una lingua indigena (il quechua) per mettere altra carne a cuocere (oltre ambiente, guerre, ecc., anche le minoranze linguistiche) ma senza nessun criterio.
Da evitare accuratamente.

 

383 “El carnaval de Sodoma” (Arturo Ripstein, USA, 2006) tit. it. “Il ladro” * con Marta Aura, María Barranco, Alejandro Camacho  *  IMDb 6,3
In una giornata di pioggia, fra un film e l’altro del Festival di Huelva, non mi è restato altro da fare che guardare un film ....
Così ho recuperato un altro film di Ripstein, uno dei più rappresentativi registi messicani pur essendo molto poco convenzionale, del quale ho già parlato più volte, nel 2015 premiato per i suoi 50 anni di attività a Venezia dove presentò il suo "La calle de la amargura" e la versione restaurata di “Un lugar sin limites” (1977). Anche in questo caso Ripstein si/ci immerge in un mondo al limite della società, che mi ha ricordato il film appena citato, un ambiente di prostitute, magnaccia, e piccoli criminali nel quale il regista sembra trovarsi a proprio agio. Si tratta di una storia al limite del surreale che si svolge quasi interamente al Royal, un bordello messicano di infimo ordine (anche se con qualche pretesa di grandezza) gestito da un cinese.
Al di là della storia, adattamento dell'omonimo romanzo di Pedro Antonio Valdéz, affermato autore dominicano oggi 50enne, fra i più importanti della nuova generazione dell'America Latina, Ripstein affascina per le sue ambientazioni, per i colori, per le storie al limite del surreale, per i movimenti di macchina, riprese da angoli insoliti. Film quasi corale nel quale si incontrano e si scontrano preti che vorrebbero essere beatificati, prostitute, una presunta principessa, tanti travestimenti, un burocrate venditore di veleno per topi, aspirante ballerino, un poeta fissato con gli endecasillabi che aspira a vincere almeno un concorso, e altri “strani” clienti, mentre all’esterno il vicinato manifesta per far chiudere il Royal.
Tipico film di Ripstein, non fra i suoi migliori, ma certamente ben girato e geniale grazie soprattutto ai personaggi creati da Pedro Antonio Valdéz.

 

382 “El ombligo de Guie'dani” (Xavi Sala, Mex, 2018) tit. or. “Xquipi' Guie'dani” * con Sótera Cruz, Érika López
In Messico è stato giudicato come una visione più realistica delle condizioni delle tante donne indigenas che da decenni, se non secoli, si trasferiscono nella capitale per lavorare come domestiche o balie nelle case dei ricchi, come le afroamericane negli USA almeno fino a metà secolo scorso.
Tema simile a quello proposto anche da Alfonso Cuarón nel suo tanto atteso "Roma", da molti visto come troppo edulcorato e buonista, per di più dalla parte dei "datori di lavoro". Pur volendo considerare i periodi ben differenti, anni '70 vs tempi attuali, "El ombligo" propone tutt'altro punto di vista, anche e soprattutto per l'età della protagonista (13 anni), in una moderna e frenetica Ciudad de Mexico.
Molto brava l'esordiente Sótera Cruz e anche Érika López che interpreta sua madre, probabilmente avvantaggiata dall'aver vissuto simile situazione.
Come tanti altri film iberoamericani, il film ha un suo impegno sociale, schierandosi dalla parte delle “minoranze linguistiche” (ma quelli che parlano zapoteco sono circa 1 milione), ben 68 idiomi diversi in Messico.
Singolare e ben rappresentato il contrasto di sentimenti della protagonista, che mira ad una maggiore libertà ("non voglio essere una schiava come te" dice alla madre) eppure vuole continuare a parlare zapoteco, mangiare con le mani e, soprattutto, tornare a vivere nel piccolo pueblo. Contraddizioni classiche da adolescente, specialmente se un po' ribelle come Guie'dani, aggravate dalle grandi differenze fra la vita frenetica e ricca della capitale e quella tranquilla, semplice e naturale della comunità indigena. La prima frase di Guie'dani arrivando a CDMX è "Perché corrono?".
Tanti sono i contrasti evidenziati fra i diversi modi di vivere, di mangiare, di comportarsi, con un substrato di profondo razzismo da parte dei "padroni", seppur mascherato da una gentilezza più che altro formale.
Il regista (anche produttore e sceneggiatore) ha effettuato anche un gran lavoro sul sonoro tentando (e in linea di massima riuscendo) di mostrare la percezione dei discorsi della famiglia da parte di chi sta in cucina o è impegnato in altre faccende domestiche ... e non c’è commento sonoro extradigetico.
Peccato per l'eccessiva lungaggine (e esagerazione) della parte più banale e prevedibile, già vista in tutte le salse, in tutti i tempi.
Dopo gli eventi più che impattanti che si susseguono rapidamente negli ultimi minuti del fil, Sala lascia il finale aperto su un ennesimo sguardo solo apparentemente perso di Guie'dani, ma assolutamente concentrato su ciò che deve ancora accadere future scelte.
PS - Nella cultura indigena, l’ombelico rappresenta l’origine.

 

381 “Aos teus olhos” (Carolina Jabor, Bra, 2018) tit. int. “Liquid Truth” (trad. “Verità liquida” * con Daniel de Oliveira, Marco Ricca, Malu Galli  *  IMDb 6,7
La sceneggiatura è tratta dal lavoro teatrale del catalano Josep Maria Miró “Il principio di Archimede” (2011) e, come anticipato nel post di ieri, l'argomento non può non far tornare in mente “Jagten” (aka “The hunt”, “Il sospetto”, di Thomas Vintenberg, Dan/Sve, 2012, Nomination Oscar, 102° nella classifica IMDb di tutti i tempi, con Mads Mikkelsen), ovviamente a chi si interessa di cinema.
Dopo la conferenza stampa avevo avuto modo di parlare personalmente con la regista la quale mi ha detto di conoscere certamente il quasi omologo danese, ma di aver focalizzato l'attenzione sull’eterna presenza del "dubbio" (da cui il titolo “Liquid Truth”) e sulle conseguenze potenzialmente devastanti delle fake news che si propagano in poche ore, assolutamente fuori controllo.
Pur avendo voluto inserire questi due elementi e avendo costruito un bel film con il giusto crescendo e suspense, la storia di base ricalca troppo quella di “Jagten” (anche se in quel caso veniva mostrato ciò che era successo realmente) e occupa troppo spazio nel film. Nonostante le suddette due sostanziali differenze perde quindi l’occasione di approfondire sia la gestione del dubbio, sia l’uso spesso sconsiderato delle reti sociali che nelle mani di irresponsabili, se non malintenzionati, creano situazioni drammatiche e/o di vero e proprio pericolo visto che pare assodato che la maggior parte degli utenti non esercitano nessun filtro critico a ciò che leggono e lo condividono con tante alte persone senza sapere assolutamente niente dei fatti reali.
“Aos teus olhos” (lett. “Ai tuoi occhi”) è senza dubbio un buon film drammatico ed è anche giusta la scelta di lasciare il pubblico nel dubbio non mostrando niente di inequivocabile, ma seminando tanti piccoli indizi di segno opposto e infine terminando il film all’improvviso.
Carolina Jabor, al suo secondo lungometraggio, conferma quanto ho letto di buono sul suo conto in merito al suo esordio; resta solo il rimpianto di un non perfetto bilanciamento fra i giusti timori dei genitori in merito alla pedofilia, la gestione di dubbi e accuse, la potenziale pericolosità delle reti sociali.

 

380 “El Proxeneta. Paso corto, mala leche” (Mabel Lozano, Spa, 2018) * documentario, con Miguel El Músico
Una strana storia mette insieme tre persone di ambito ben distinto e ne nasce un libro e un documentario che mette a nudo un mondo che pochi conoscono realmente e che, comunque, nessuno vuole conoscere ... come se non esistesse.
Proxeneta è chi controlla un giro di prostituzione, più in alto dei semplici papponi, lenoni o magnaccia che dir si voglia. Negli ultimi decenni è anche chi gestisce il traffico di donne. Quello in questione, protagonista/narratore del documentario, è El Músico, 40 anni di esperienza nel settore venuto su dalla gavetta dopo essere casualmente entrato in contato con questo mondo. La regista Mabel Lozano (già regista e produttrice di altri documentari sul medesimo argomento, attivista contro lo sfruttamento delle donne) ricevette una inaspettata telefonata di uno che si qualificava come “proxeneta” , pensò a uno scherzo ma subito l’identità fu confermata da José García, ispettore capo della polizia della sezione speciale di contrasto a immigrazione illegale e falsificazione di documenti, che già conosceva. In effetti la Lozano conosceva anche El Músico con il quale aveva avuto a che fare nel corso delle sue indagini nei “puticlub” (non penso sia necessario tradurre ...) quando andava a intervistare le ragazze, ma stavolta il prosseneta voleva collaborare. Già nel 2006 aveva cominciato a cambiare vita, si era innamorato aveva messo su famiglia e si era fatto 3 anni di carcere, ora era disposto a vuotare il sacco esponendo il modo di lavorare (cambiato negli anni) dei papponi prima e dei gestori di locali/tratta delle donne poi. Da questa collaborazione è nato un libro e successivamente questo documentario. In un primo momento regista e "musico" erano d'accordo a non mostrare il suo volto, ma dopo appena una settimana di riprese lo stesso prosseneta cambiò idea e decise di farsi riprendere.
Il documentario, dal punto di vista di riprese e montaggio non è un granché, ma la sceneggiatura, i racconti di Miguel e i suoi commenti, salaci e sagaci allo stesso tempo, sono di estremo interesse non risparmiando nessuno, dalle autorità fino a sé stesso. In uno di questi commenti dice appunto che il prosseneta per sopravvivere deve procedere con cautela (paso corto), essere lungimirante (vista larga, eliminato dal titolo) ed essere un infame (mala leche) anche con i suoi colleghi. Spiega come questo enorme giro di denaro (a livello mondiale pare sia secondo solo a quello del traffico di armi lasciando la droga al terzo posto) sia controllato tramite avvocati, notai, banche, prestanome e politici e che non è neanche necessario corrompere questi ultimi in quanto hanno le stesse idee.
Chiaramente racconta tante altre storie, illustra nel dettaglio lo sviluppo di questi club, la costituzione del “sindacato” ANELA (Asociación Nacional de Empresarios de Locales de Alterne) per la legalizzazione della prostituzione, le pressioni psicologiche, i modi per apparire bravi cittadini che agiscono nella legalità e sono addirittura filantropi.
A prescindere dall’aspetto puramente tecnico, Mabel Lozano certamente merita un plauso per la produzione di questo documentario “divulgativo” che va ad aggiungersi alle tante altre sue attività a beneficio delle donne sfruttate.

 

379 “La musica di Gion” (Kenji Mizoguchi, USA, 1953) tit. or. “Gion Bayashi”, tit. int. “A Geisha” * con Michiyo Kogure, Ayako Wakao, Seizaburô Kawazu  *  IMDb 7,7 RT 94%
Confermo quanto scritto un paio di giorni fa in merito a Mizoguchi, affidabile, preciso, meticoloso, interessante ma non abbastanza creativo. Un eccellente professionista, ma non un artista geniale.
In questo caso propone una storia simile ad altre già viste, l’iniziazione di una geisha e i suoi primi (soliti) problemi, fra clienti intraprendenti, patroni e mistress. Queste ultime, di solito ex-geishe affrancate, troppo anziane per essere di primo livello, si rivelano essere spesso molto peggiori dei loro omologhi maschili.
Ennesimo interessante studio di certi particolari ambienti della società giapponese di metà secolo scorso.

 

378 “The Wrong Man” (Alfred Hitchcock, USA, 1956) tit. it. “Il ladro” * con Henry Fonda, Vera Miles, Anthony Quayle * IMDb 7,5 RT 91%
Come lo stesso Hitchcock spiega agli spettatori nel corso della scena d'apertura, il soggetto è tratto da eventi reali avvenuti pochi anni prima, fatto ribadito nei titoli di coda, nei quali si aggiungono anche informazioni sui successivi sviluppi.
Qualche settimana fa evidenziai la cattiva indicazione fornita dal titolo " Folle rapina a Città del Messico" in quanto si trattava di un furto (e oltretutto il tit.or. era semplicemente "Museo"), in questo caso il tit. it. è "Il ladro" ma si tratta di un rapinatore e comunque dell'”uomo sbagliato”, trad. lett. dell'originale "The Wrong Man", nella maggior parte degli altri paesi ben tradotto o variato in "falso colpevole" che almeno ha attinenza con la trama ... ci dobbiamo sempre far conoscere!.
Dopo questa dovuta, anche se tutt’altro che indispensabile premessa, vengo al film che assomiglia più a un noir che a un thriller (di thrilling non c'è quasi niente), con qualche concessione ai generi court movie, drammatico e romantico. Lungi dall'essere un prodotto in puro stile hitchcockiano, resta una buona esecuzione (tuttavia poco avvincente) che conta più che altro sull'ottima performance di Henry Fonda, nonché di comprimari come Anthony Quayle, Vera Miles e Esther Minciotti, specializzata nei ruoli di madre italiana (come p.e. in “Marty”, 4 Oscar, 1956, di Delbert Mann).
E con questo ho completato anche la filmografia di Hitchcock; vale a dire tutti i suoi film esistenti (muti, in b/n e a colori, girati in UK e USA). Come forse i più sanno, di “The Mountain Eagle” (1926) non esistono copie ma pare che non si sia perso molto in quanto lo stesso Hitchcock (intervistato da Truffaut) lo definì "awful" (pessimo, terribile, bruttissimo).

 

377 “Stage Freight” (Alfred Hitchcock, USA, 1950) tit. it. “Paura in palcoscenico” * con Marlene Dietrich, Jane Wyman, Richard Todd, Alastair Simm, Michael Wilding * IMDb 7,1 RT 89%
Trama abbastanza intricata, piena di sorprese, protagonisti e cambi di scena per permettere a Hitchcock di esibirsi nel creare tante situazioni di suspense, senza neanche risparmiarsi sulle scene e personaggi più che umoristici (l’uomo del pub, la donna alla fiera, ...).
Il padre della protagonista (Jane Wyman), interpretato dall’ineffabile Alastair Simm, appena venuto a conoscenza dei problemi e preoccupazioni della figlia, pronuncia una frase emblematica (purtroppo vera sempre ed in assoluto) che spiega come è arrivata a quel punto (e altro deve ancora accadere): “la stupidità è contagiosa!”.
Pur non essendo un’opera maestra, è un film molto ben congegnato, diretto e interpretato, dallo sviluppo molto rapido, senza pause di sorta. Più si procede e più intrecciati divengono i rapporti fra i protagonisti, vari dei quali si spacciano per quelli che non sono, per le tante bugie che ovviamente tentano di coprire con ulteriori menzogne.
Perfetta Marlene Dietrich nel ruolo della perfida e cinica femme fatale, ma anche tutto il resto del cast è scelto opportunamente e offre egregie interpretazioni.
Senz’altro solido thriller “leggero”, molto piacevole fra il divertente e l’avvincente, e quindi meritevole di una visione.

 

376 “Mr. & Ms. Smith” (Alfred Hitchcock, USA, 1941) tit. it. “Il signore e la signora Smith” * con Carole Lombard, Robert Montgomery, Gene Raymond
IMDb 6,5 RT 65%
Slapstick comedy, unica del genere nella filmografia di Hitchcock, non sono riuscito a capire con esattezza chi fu a forzare questa combinazione molto poco riuscita: la RKO, Carole Lombard o lo stesso regista. Ho letto varie versioni del misfatto, ma nessuna certa. Anche la scelta dell’insulsa sceneggiatura (di Norman Krasna) resta un mistero. Per nostra fortuna, lo stesso anno Hitchcock rinsavì e diresse “Suspicion”, tornando nel campo in cui è sempre stato un maestro.
C’è poco da aggiungere, stendo un velo pietoso sulla trama e giustifico la visione solo per completare la filmografia del maestro.

 

375 “Utamaro e le sue cinque mogli” (Kenji Mizoguchi, Jap, 1946) tit. or. “Utamaro o meguru gonin no onna” * con Minosuke Bandô, Kinuyo Tanaka, Kôtarô Bandô
IMDb 7,3 RT 100%
Per l'ennesima volta, il titolo italiano è assolutamente fuorviante rispetto alla storia anche se in effetti cambia una sola parola, quasi affine. L'originale parla di donne, malamente tradotte "mogli" ed è importante sottolineare che non si tratta di amanti ma solo di modelle scelte dall'artista Utamaro che è affascinato dalla bellezza femminile in sé, ma soprattutto per riprodurla nelle sue stampe e i suoi disegni. Al contrario, attorno a lui si sviluppa un complesso intreccio di passioni, fughe, tradimenti e ritorni fino ad un tragico epilogo.
Film bello e interessante sia per quanto riguarda i rapporti umani che per la visione dell'arte pittorica.
In quanto a Mizoguchi, personalmente non lo inserisco al top fra i registi giapponesi classici (che tuttavia hanno avuto i loro alti e bassi), ma senza dubbio gli riconosco e apprezzo la sua eccelsa tecnica narrativa, l’assoluta padronanza del set, il controllo delle inquadrature. Sulla base di quelli che ho visto, trovo che non sbagli un colpo (non sono mai rimasto deluso da un suo film), ciò che però mi sembra gli manchi è quel tocco in più della genialità del grandissimo artista.

 

374 “Non uno di meno” (Yimou Zhang, Cina, 1999) tit. or. “Yi ge dou bu neng shao” * con Minzhi Wei, Huike Zhang, Zhenda Tian  *  IMDb 7,7 RT 95% * Leone d’Oro e altri 3 premi a Venezia
Seppur di tono molto diverso, anche questo film di Zhang Yimou gravita in ambito scolastico, in una sperduta comunità rurale, e di nuovo è assolutamente neorealista, con pochi adulti e tanti bambini. Dai titoli di coda si scopre che ognuno dei partecipanti nella vita reale occupa ruoli simili se non identici a quelli interpretati nel film.
A causa della necessità dell'unico maestro di allontanarsi per un mese, per sostituirlo temporaneamente il “sindaco” ingaggia una ragazza di 13 anni, proveniente da un altro villaggio. Oltre ai prevedibili problemi creati dalla classe mista di oltre 20 giovincelli di età varia (direi dai 4 a i 10) Wei Minzhi (nome del personaggio e dell’interprete) dovrà andare a recuperare uno dei suoi alunni scappato in città.
Il film procede fra alti e bassi ma nel complesso l’ho trovato troppo da libro “Cuore”, non il mio genere, il che rovina la bellezza del neorealismo, specialmente quello dell’ambiente rurale.
Visti i temi in parte simili e per il fatto di avere stesso regista e essere dello stesso anno mi risulta impossibile non fare paragoni. Preferisco nettamente “La strada verso casa” ma “Non uno di meno”, son tutti i suoi limiti, non è certo da disprezzare.

 

373 “La strada verso casa” (Yimou Zhang, Cina, 1999) tit. or. “Wo de fu qin mu qin” * con Ziyi Zhang, Honglei Sun, Hao Zheng
IMDb 7,8 RT 89% * 2 premi a Berlino, oltre alla Nomination all’Orso d’Oro
Al contrario di ciò che è più comune in casi simili, la narrazione dei tempi più moderni (inizio e fine film) è girata in bianco e nero mentre il lungo continuo flashback centrale di quasi un'ora è a colori e in questa parte Yimou Zhang anticipa un po’ ciò che ci farà vedere con i successivi film come per esempio “La foresta dei pugnaili volanti” (2004).
Si tratta di una storia estremamente romantica con l'aggiunta del rispetto per tradizioni e credenze, nonché l'importanza dell'educazione anche e soprattutto nelle piccole e isolate comunità rurali, tema che verrà ripreso anche nel film successivo (dello stesso anno) "Non uno di meno".
Nel complesso affascinante (per quanto riguarda antropologia funerale e specialmente per i colori, già un pallino di Zhang Yimou) trovo che abbia due pecche: in tutta la prima parte del flashback il regista esagera nel proporre lunghe serie di sguardi appassionati dell’esordiente Ziyi Zhang (in primo piano) che ben presto diventano ripetitivi e quindi stucchevoli. La seconda è la scena (troppo lunga e poco credibile) dell'"inseguimento" del calesse.
La maggior parte del cast è composto da non professionisti, i reali abitanti del villaggio.
Sostanzialmente più che buono. Da guardare.

 

372 “Lucky” (John Carroll Lynch, USA, 2017) * con Harry Dean Stanton, David Lynch, Ron Livingston, Tom Skerrit * IMDb 7,4 RT 98%
Che gran bel film!
Semplice eppure profondo, sarcastico e a tratti commovente, arguto e cinico, ... un gioiello del cinema indipendente contemporaneo, prodotto con un budget molto ridotto, senza nomi altisonanti e praticamente senza set.
Mattatore assoluto è Harry Dean Stanton, al suo 109° e penultimo film, all’età di 91anni ma in gran forma. Gli esterni ricordano molto “Paris, Texas” (Wim Wenders, 1984) e sono certo che sia un voluto doveroso omaggio a quell’altra grande interpretazione di HDS, in un ottimo film.
“Lucky” segna l’esordio alla regia di John Carroll Lynch dopo oltre una cinquantina di film (fra i più recenti lo si può ricordare nei panni del presidente Johnson in “Jackie” (Pablo Larraín, 2016) e di Mac McDonald in “The Founder” (John Lee Hancock, 2016), ma è bene sottolineare che non ha alcun legame di parentela con il ben più famoso David Lynch il quale tuttavia, insolitamente, partecipa a questo film in un ruolo non proprio secondario.
Lucky è il soprannome del protagonista che, nonostante l’età avanzata, è del tutto indipendente, vive da solo, segue la sua routine quotidiana a casa e poi spesa, caffè e 4 chiacchiere con i soliti amici, la sera al bar per un Bloody Mary. Vari eventi lo rendono consapevole del fatto che non è “eterno”.
I dialoghi sono brillanti e sorprende la sua prontezza nel cogliere l’essenza della discussioni e rispondere a tutti in modo pragmatico e spesso inconfutabile. Pur apparendo un po’ “orso”, è benvoluto da tutti anche se molti lo provocano proprio per vedere come controbatterà. C’è chi lo va a trovare a casa per assicurarsi che stia bene e chi lo invita al compleanno del figlio, festa in puro stile messicano con tanto di trio mariachi, e nell’occasione HDS si esibisce (a sorpresa) anche come cantante interpretando la famosissima (in Messico) “Volver” sorprendendo e commuovendo tutti.
Ottima tutta la colonna sonora, fra musica messicana, country e bluegrass.
"Lucky" sembra un’esaltazione dello stile di vita di piccola cittadina dove tutti si conoscono e si preoccupano per il benestare degli altri, forse utopica pacifica convivenza fra americani di varie estrazioni sociali e di varie etnie: bianchi, afroamericani e messicani. In qualche piccola comunità è certamente possibile, forse esistono tali posti, comunque è bello crederci.

Film da non perdere, soprattutto per adulti, pensionati e anziani che potranno apprezzare tante sfumature non percepibili dai più giovani.

 

371 “The Way Home” (Jeong-hyang Lee, Kor, 2002) tit. or. “Jibeuro” * con Seung-ho Yoo, Eul-boon Kim, Hyo-hee Dong * IMDb 7,9 RT 75%
Pur partendo da un buon soggetto, mi sembra che Jeong-hyang Lee abbia esagerato troppo i caratteri dei protagonisti creando un ragazzino troppo indisponente e scostumato (sostanzialmente stupido) ed una nonna fin troppo disponibile con chi è venuto a turbare la sua bucolica tranquillità. Si potrebbe dire che sono altre culture, ma è evidente che il germe dell’arroganza e dell’assenza di rispetto non solo nei confronti degli anziani ma anche dei genitori ha colpito perfino i paesi dell’Estremo Oriente.
Descrizione di un non-scontro generazionale in quanto uno solo dei contendenti aggredisce e combatte. Praticamente un’occasione persa.
Non proprio male, ma senz’altro deludente rispetto alle attese.

 

370 “I confess” (Alfred Hitchcock, USA, 1953) tit. it. “Io confesso” * con Montgomery Clift, Anne Baxter, Karl Malden * IMDb 7,3 RT 81% * Candidato al Grand Prize a Cannes 1953
Questo è fra i film meno conosciuti del periodo americano di Hitchcock, e non ne comprendo il motivo ... l’ho trovato ottimo e certamente migliore di altri ben più famosi. Sembra un misto di vari generi, tuttavia perfettamente miscelati: court movie, dramma romantico, thriller, noir e anche altro. Buon cast anche se pare che Hitchcock avesse richiesto altri interpreti è non gradì molto le diverse scelte della produzione.
La trama si dipana in modo abbastanza lineare, ma il pregio sta nel non lasciar prevedere se, come, quando e da chi sarà smascherato l’assassino, non per bravura di chi investiga (l’ispettore interpretato da Karl Malden) ma per la rottura del muro di silenzio che - per motivi molto diversi - si è creato intorno all’omicidio con il quale si apre il film.
Montgomery Clift interpreta il sacerdote ingiustamente accusato, ma Hitchcock non calca assolutamente la mano sull’argomento religioso (in particolare sul segreto della confessione) puntando esclusivamente sul dilemma: parlerà o non parlerà?
Piacevolissima sorpresa frutto della ricerca dei film meno noti del maestro del thriller, dopo aver recuperato “Lifeboat” (1944) pochi giorni fa e in attesa di guardare “The Wrong Man” (1956, con Henry Fonda e Vera Miles), dopodiché mi mancheranno solo un altro paio di film per completare la filmografia di Hitchcock, oltre al corto “Bon Voyage” (1944) e, ovviamente, allo scomparso mediometraggio “The Mountain Eagle“ (1926).
Se non lo avete visto, vi suggerisco di recuperarlo ... ne vale la pena!

 

369 “Rosauro Castro” (Roberto Gavaldon, Mex, 1950) * con Pedro Armendáriz, Carlos López Moctezuma, María Douglas  *  IMDb 6,9 * Nomination Leone d’Oro a Venezia
Classico degli anni ’50, in piena Epoca de Oro del cine messicano, con protagonista Pedro Armendáriz (uno dei più amati e versatili attori dell’epoca) affiancato da Carlos López Moctezuma, “cattivo” per antonomasia, tanto spesso anche perfido, subdolo e malvagio che in questo film sembra quasi “onesto”.
Interessante variante della solita trama del prepotente che domina il piccolo pueblo sotto la parvenza di imprenditore a volte buono (ma solo con alcuni).
Per chi apprezza il genere (e conosce lo spagnolo) è un film da non perdere. Molti lo considerano uno dei migliori melodrammi rurali.

 

368 “Legend” (Brian Helgeland, UK, 2015) * con Tom Hardy, Emily Browning, Chazz Palminteri, Taron Egerton * IMDb 7,0 RT 61%
Biopic dei due famosi gemelli gangster che dominarono a Londra negli anni '60. Nonostante il buon lavoro di Tom Hardy (che interpreta entrambi) il film non mi ha convinto del tutto per mettere troppo in primo piano la loro violenza, che tuttavia certamente non mancava nei due, un ex pugile e uno psicopatico al limite della schizofrenia paranoide che non riusciva a controllare i suoi scatti d'ira. Nei brevi periodi di detenzione prima di quello definitivo misero a soqquadro anche le prigioni, per il loro comportamento furono cacciati dall’esercito con disonore, nella vita da gangster non risparmiavano i loro contendenti o chi pensavano avesse fatto loro un torto e, soprattutto, lo facevano con piacere tanto da occuparsi quasi sempre personalmente di tali assunti.
Non posso fare a meno di menzionare un precedente biopic dei due criminali (del quale ho un miglior ricordo), diretto da Peter Medak nel 1990, esplicitamente intitolato "The Krays" e interpretato da due veri gemelli: Gary e Martin Kemp.
“Legend” è senz’altro più che sufficiente (soprattutto per merito di Hardy), ma non molto di più.

 

367 “Fahrenheit 451” (François Truffaut, UK, 1966) * con Oskar Werner, Julie Christie, Cyril Cusack  *  IMDb 7,3 RT 82% * Nomination Leone d’Oro a Venezia
Tratto dal noto romanzo di Ray Bradbury, è un film che, volendo leggere fra le righe, risulta essere estremamente attuale e moderno nonostante gli oltre 50 anni di età. Il soggetto distopico fantascientifico anticipa la invadenza della televisione a discapito della letteratura in un mondo nel quale i libri sono addirittura totalmente proibiti e per questo bruciati.
Rivisto dopo oltre 40 anni, “Fahrenheit 451” mi è apparso ancora interessante e soprattutto più che attuale, quasi una molto lungimirante premonizione dello scrittore, considerato che il libro è del 1953.  Truffaut fa un buon lavoro (specialmente nei primi 3/4 del film), ma gran parte del merito del relativo successo di “Fahrenheit 451” è senz’altro da attribuire alla fantasia di Bradbury.
Merita una visione, se non altro per ciò che rappresentò la Nouvelle Vague francese.

 

366 “25 Watts” (J. P. Rebella y Pablo Stoll, Uru, 2001) * con Daniel Hendler, Jorge Temponi, Alfonso Tort * IMDb 7,1 RT 78%p
Film d’esordio dei giovani uruguayani (classe ’74, provenienti dal settore pubblicitario televisivo) Juan Pablo Rebella e Pablo Stoll, i quali 3 anni dopo avrebbero scritto e diretto il loro secondo film “Whisky”, vincitore del FIPRESCI Prize e Regard Original Award e candidato a Un Certain Regard Award a Cannes, oltre a vincere Ariel, Goya, e un’altra ventina di premi.
Se quello non mi era piaciuto pur apprezzando qualche particolare nonché l’idea di fondo del soggetto, questo “25 Watts” mi è sembrato veramente senza senso, mal girato e privo di contenuti. Si tratta di una specie di cronaca della routine giornalieri di tre giovani nullafacenti, privi di aspirazioni e di ideali e piuttosto sprovveduti. L’ambientazione nella strade desolate, in auto e in locali poco frequentati, contribuisce a fornire un ambiente al limite del deprimente ... per ignavia. Lunghe inquadrature fisse ritraggono i tre intenti a dialogare del niente ...
Non guardandolo non vi perdete niente!

 

365 “Lifeboat” (Alfred Hitchcock, USA, 1944) tit. it. “Prigionieri dell'oceano” * con Tallulah Bankhead, John Hodiak, Walter Slezak  *  IMDb 7,8 RT 91%  *  3 Nomination Oscar (regia, sceneggiatura e fotografia)
Tutto il film si svolge su una scialuppa di salvataggio sulla quale, a seguito dell’affondamento di una nave silurata da un sottomarino tedesco (anch’esso colato a picco), salgono alla spicciolata 9 naufraghi di provenienze e professioni molto diverse. Nei giorni che passeranno più o meno alla deriva chiaramente la convivenza diventerà difficile e il gruppo inevitabilmente si assottiglierà. Come è facile intendere, il canovaccio è ben diverso dai soliti e,
date le limitate dimensioni della barca, Hitchcock sii trova quindi a dirigere un film drammatico con un set quasi teatrale nel quale, ovviamente, si deve contare molto sugli attori. Ciononostante riesce a conferirvi vari tocchi di commedia e il suo solito cameo, ma considerato l’ambiente e periodo bellico (1944) era inevitabile che ci fosse anche tanta propaganda accompagnata da luoghi comuni.
Alla sceneggiatura collaborò John Steinbeck, autore anche del soggetto.
Non fra i migliori del regista (anche per i suddetti oggettivi limiti), certamente non fra i più famosi, "Lifeboat” resta tuttavia un prodotto d’autore che merita una visione.

 

364 “En tiempos de Don Porfirio” (Juan Bustillo Oro, Mex, 1940) * con Fernando Soler, Joaquín Pardavé, Marina Tamayo, Emilio Tuero  *  IMDb 7,9
Classica commedia messicana degli anni '40 avente fra i protagonisti principali due famosi attori dell’epoca quali Fernando Soler (ottimo e versatile) e Joaquín Pardavé (commediante puro).
Stranamente, anche quando non lo faccio di proposito, spesso mi capita di guardare film che hanno evidenti elementi comuni. In questo caso, dopo due melodrammi giapponesi di amori eterni e contrastati, con complicazioni di figli non ufficiali o non riconosciuti, ho guardato questa commedia messicana della Epoca de Oro della quale avevo visto un breve spezzone al Museo del Estanquillo e ho ritrovato una situazione molto simile. Tutto però tende alla commedia e anche lo spettatore più sprovveduto ben presto capisce che ci sarà un lieto fine, ma non sa come vi si arriverà.
Fernando Soler veste i panni del gaudente ma dissoluto Don Pancho, bevitore, giocatore e donnaiolo; il suo antagonista/falso amico è l’illetterato, avaro e avido Don Rodrigo. Con l’aiuto di Chola (Dolores Camarillo) Don Pancho dovrà evitare che sua figlia (illegittima e non riconosciuta) sposi l’anziano Don Rodrigo ... ma come?.
Pellicola ottima per distrarsi, ma appena sufficiente.

 

363 “La signora Oyû” (Kenji Mizoguchi, Jap, 1951) tit. or. “Oyû-Sama” * con Kinuyo Tanaka, Nobuko Otowa, Yûji Hori  *  IMDb 7,7 RT 83%p
Guardando questo film di Mizoguchi dopo tanti di Kinoshita, pur essendo quasi dello stesso periodo (dopoguerra), salta lampante agli occhi la differenza di stile, di ambientazione e di personaggi (in particolare per i loro caratteri).
Puro melodramma della ricca borghesia giapponese, come al solito limitata dalle consuetudini sociali e vincolata da tradizioni, quasi un menage a trois clandestino ma sotto gli occhi di tutti.
La regia precisa di Mizoguchi (con il suo solito impeccabile stile), le buone interpretazioni e l’ottima fotografia lo rendono un film più che buono macon molta meno azione e con sentimenti più blandi rispetto a quelli ai quali mi aveva abituato Kinoshita: uno di quei film che hanno contribuito a formare il cliché (negativo per quelli che non lo sopportano) della cinematografia giapponese classica.
Azzardando un paragone, a confronto del giovane artista Kinoshita, Mizoguchi sembra essere solo un ottimo artigiano, un artista versatile ed estemporaneo i cui lavori molto vari possono piacere o meno.
A mio modesto parere “La signora Oyû” merita comunque una visione.

 

362 “Los albañiles” (Jorge Fons, Mex, 1976) trad. lett. "I muratori” “* con Ignacio López Tarso, Jaime Fernández, José Alonso * IMDb 7,4  *  Orso d’Argento per Jorge Fons e Nomination Orso d’Oro a Berlino 1977
Adattamento del noto romanzo di Vicente Leñero's. Il film inizia con il misterioso assassinio di Don Jesús (interpretato da Ignacio López Tarso) il guardiano di un cantiere edile. Apparentemente una persona buona e disponibile ma, con i successivi flashback, gli spettatori pian piano scopriranno che erano molti che per una ragione o per l’altra lo avrebbero voluto vedere morto. Riusciranno i solerti (e violenti) poliziotti a venire a capo del mistero? Si può dire che in questo film compaiono quasi tutti gli attori comprimari dell’epoca, giovani emergenti e bravi caratteristi. L’unico al di sopra della media è Ignacio López Tarso che si fa valere anche in questo caso.
Quasi 20 anni dopo questo, Jorge Fons avrebbe diretto il suo film più famoso, “El callejon de los milagros”, basato sul romanzo “Midaq Alley” dell’egiziano Naguib Mahfouz, Premio Nobel per la letteratura.

 

361 “The Scent of Incense” (Keisuke Kinoshita, Jap, 1964) tit. or. "Kôge” “* con Mariko Okada, Takeshi Katô, Eiji Okada  *  IMDb 7,4
Ultimo film della retrospettiva dedicata dalla Cineteca Nacional Mexico al regista Keisuke Kinoshita (1912–1998), uno dei registi che componevano il cosiddetto “clan dei 4” insieme con Kurosawa (1910–1998), Kon Ichikawa (1915–2008) e Masaki Kobayashi (1916–1996), innovatori del cinema giapponese dell’immediato dopoguerra.
Al contrario del film precedente (Amore immortale - Eien no hito) in questo lungo melodramma il legame “insostenibile”, causa di mille contrasti nel corso di vari decenni, non è matrimoniale ma madre/figlia. La prima diventa prostituta dopo aver avviato la figlia alla professione di geisha. Per i già menzionati rapporti ineludibili della cultura giapponese, le due più volte si ripudiano, si perdonano, si maledicono, si riuniscono. Anche questo è un bel film e ancora una volta Kinoshita propone personaggi ben delineati e sanguigni, sempre pronti al confronto se non allo scontro.
La versione proposta alla Cineteca era quella lunga e completa, divisa in due parti con titoli diversi, ma proiettati in continuità per un totale di 3h21'. I personaggi sono gli stessi, tratti da un romanzo di Sawako Ariyoshi il quale produsse da solo l’adattamento per la prima parte, con Keisuke Kinoshita quello per la seconda. Su IMDb le trovate archiviate come due film diversi, in due pagine differenti:
Nibu: Mitsumata no shô Sawako Ariyoshi (story)
Ichibu: Waremokô no shô
Per l’ennesima volta, mi trovo a ripetere che Keisuke Kinoshita realizza film di qualità e in questo caso specifico neanche le oltre 3 ore di durata pesano più di tanto. Molto brave le due protagoniste Mariko Okada (la figlia) e Kinuyo Tanaka (la madre, molti la ricordano come l'anziana protagonista di Narayama).

 

360 “Amore immortale” (Keisuke Kinoshita, Jap, 1961) tit. or. "Eien no hito” “* con Hideko Takamine, Keiji Sada, Tatsuya Nakadai  *  IMDb 7,4 Nomination Oscar miglior film non in lingua inglese
Con questo film Kinoshita ottenne la sua unica Nomination all'Oscar che tuttavia fu assegnato a “Come in uno specchio” (di Ingmar Bergman).
Qualche giorno fa commentai l’idoneità e l'originalità della scelta dei brani e in questo caso si supera introducendo nientemeno che pezzi di flamenco, con chitarra e castañuelas; di tanto in tanto ci sono anche parti cantate (in giapponese) che tuttavia più che il flamenco ricordano i cantastorie, sia per il ritmo che per il contenuto che si riferisce puntualmente agli avvenimenti mostrati.
“Amore immortale” è un ottimo dramma che narra la tormentata storia di due amanti, per vari motivi separati dalla guerra e dai soliti pregiudizi o leggi sociali non scritte. Pur avendo questa linea conduttrice, il film non è per niente banale in quanto si concentra più sull'odio fra i due coniugi dopo il matrimonio forzato che non fra l'amore fra i due fidanzati di un tempo. E la guerra e le convenzioni continuano a far danni per tutta la durata del film, che copre un arco temporale di circa 30 anni.
Più che consigliato, anche per l'ottima performance della solita Hideko Takamine.

 

359 “Thus Another Day” (Keisuke Kinoshita, Jap, 1959) tit. or. "Kyô mo mata kakute ari nan” * con Teiji Takahashi, Yoshiko Kuga, Kanzaburô Nakamura
IMDb 6,8
Ancora una volta Kinoshita non delude, neanche con questo film non fra i suoi più famosi ed è incredibile come possa aver mantenuto tali livelli pur dirigendone (e scrivendone le sceneggiature) mediamente 2 ogni anno.
Come per “Farewell to Spring” visto ieri, anche in “Thus Another Day” parte da alcuni protagonisti per poi coinvolgerne tanti altri con varie storie in parte parallele e in altre intrecciate fra loro, quasi come se non ci fosse una vera e propria trama principale. Da una coppia non in sintonia con un figlio pestifero che vive poco distante da Tokio, si cambia location e nel paesino in campagna entrano in gioco vari personaggi nuovi e significativi fra i quali anche vari yakuza. Per alcuni aspetti può sembrare quasi un noir, per altri un dramma familiare, per altri ancora dramma della solitudine.
Ben filmato in 2.35:1 e a colori, vanta anche una curata colonna sonora, elemento al quale Kinoshita presta sempre una grande attenzione.

 

358 “Jusqu'à la garde” (Xavier Legrand, Fra, 2017) tit. it. "L'affido - Una storia di violenza” * con Léa Drucker, Denis Ménochet, Thomas Gioria  *  IMDb 7,6 RT 94% * Leone d’Argento e Premio Luigi De Laurentis per Xavier Legrand, Nomination Leone d’Oro a Venezia
Film che ha ricevuto più che buone critiche e anche premi, ma secondo me è un po' sopravvalutato. Mi sembra l'ennesimo film che viene lodato più per il tema che affronta che per l’effettiva qualità.
Si concentra su troppi pochi eventi, alcuni dei quali allungati inutilmente e altri quasi fuori contesto, con l'eccezione dell'iniziale confronto dei due genitori davanti al giudice. Questo è indispensabile per chiarire la situazione di partenza, soluzione che penso sia stata preferita al mostrare i fatti esposti per lasciar liberi gli spettatori di credere a Miriam o Antoine, di decidere chi dice il vero e chi il falso, chi esagera e chi sminuisce.
In quanto al finale da thriller (nel complesso buono) mi restano vari dubbi (ovviamente non riportabili per evitare spoiler) per un paio di incongruenze e soprattutto per una frase che mi è sembrata "equivoca". L’ho carpita dall’audio originale in francese, non tradotta nei sottotitoli in spagnolo, ma se ho inteso bene sarebbe molto significativa ... chissà se la prenderanno in considerazione nel doppiaggio italiano. Se qualcuno guarderà questo film faccia caso a ciò che dice il poliziotto alla radio, pochi secondi prima dei titoli di coda.
Gli attori sono senz'altro bravi, il film nel complesso sufficiente ma certamente non eccezionale.

 

357 “Farewell to Spring” (Keisuke Kinoshita, Jap, 1959) tit. or. "Sekishuncho” “* con Keiji Sada, Ineko Arima, Masahiko Tsugawa  *  IMDb 6,5
Non lasciatevi ingannare dal relativamente basso rating di IMDb, "Sekishuncho” è un ottimo film e non è per caso che si trova nella Criterion Collection. Come scrissi qualche giorno fa in appendice ad un altro suo film, Keisuke Kinoshita era uno dei quattro registi emergenti (con Kurosawa, Kobayashi e Ichikawa) che miravano a modernizzare il classico stile giapponese con un occhio ad un pubblico più giovanile e questo è un esempio perfetto.
I protagonisti sono 5 ventenni amici da sempre che si ritrovano dopo 2 anni di lontananza dalla loro cittadina. Si inizia con i piacevoli ricordi ma col passare dei giorni (i pochi della breve vacanza) cominciano ad affiorare vari attriti per motivi familiari, economici e amorosi. La sceneggiatura (dello stesso Kinoshita) non si limita a proporre i rapporti fra i 5 ma è molto articolata e include tante altre storie che coinvolgo numerosi loro famigliari.
La colonna sonora è molto moderna e particolare, nettamente distinta dalla musica tradizionale, ma ci sono anche due rappresentazioni della danza Byakkotai che si riferisce ad un evento storico del 1868. Questo viene tirato in ballo più volte nel corso del film e varie scene si svolgono sul Monte Limori dove 19 giovani soldati (“Tigri Bianche” = Byakkotai) si suicidarono pensando che il castello del loro signore fosse stato preso e bruciato. L’onore (non militare) è un elemento determinate del film in quanto questo si conclude con le difficili decisioni che i 5 dovranno prendere per risolvere una situazione che li vede divisi fra il salvare o condannare uno di loro.
In conclusione: film ben girato e interpretato, di ritmo rapido e avvincente, con musica moderna che non ti aspetti, risvolti psicologici interessanti, danze che non appesantiscono la narrazione. Senz’altro un film da guardare con attenzione.
Curiosità: la colonna/monumento in cima alla collina Limori proviene da Pompei, inviata nel 1928 in Giappone da Mussolini, il quale era rimasto molto colpito dalla storia del suicidio dei giovani.

 

356 Double Bill: 2 film sperimentali di Rubén Gámez
* “La fórmula secreta” (Rubén Gámez, Mex, 1965, 42’)
* “Magueyes” (Rubén Gámez, Mex, 1962, 9’)
Il primo e più famoso è un mediometraggio, al quale avevo già accennato in occasione della micro-recensione di “En este pueblo no hay ladrones” sottolineando che in ambienti cinefili è un vero e proprio cult, anche perché di difficile reperimento, una vera rarità. Perfino alla Cineteca Nacional Mexico il titolo non compare nel catalogo della videoteca, ma avendo i giusti contatti e facendone specifica richiesta per fini di studio sono riuscito ad ottenere una visione.
“La fórmula secreta”, conosciuto anche con il titolo scelto in un primo momento da Gámez “Coca-Cola en la sangre” o “Kokakola en la sangre”, secondo me necessita di almeno 3 visioni prima di poter iniziare a farsi un’idea di cosa sia esattamente, sempre che ciò interessi. Immaginate il manifesto del surrealismo “Un chien andalou” (Luis Buñuel, 1929) nel Messico degli anni ’60 ... i temi sono tanti, alcune scene sono ricorrenti o ripetute similmente più volte, altri oggetti o animali appaiono sullo schermo solo per pochi secondi, ma senza dubbio anch’essi hanno il loro perché.
Come evidenziava chiaramente Alfonso Cuarón l’anno scorso a Lione nel corso della presentazione della versione restaurata, questo film verte sulla “messicanità”, indubbiamente contaminata dalle culture straniere a cominciare da quella statunitense. La trasfusione (o flebo che sia) di Coca Cola è il lampante messaggio iniziale, l’inconfondibile sagoma della classica bottiglia appare più volte come silhouette, la lista finale scritta con il gesso di compagnie e marchi stranieri operanti in Messico, dai prodotti per l’igiene alle auto, dalle banche alle linee aeree, enti quali ONU, Peace corps e CIA, nomi di attori come Brigitte Bardot e Sinatra e luoghi significativi come Hiroshima, mettono in risalto quanto sia forte il condizionamento esterno.
Nel film non ci sono dialoghi, ma solo brani di Vivaldi (con le immagini montate in perfetta sincronia), ordini gridati in una lingua straniera, lettura di un testo in inglese da parte di un bambino che chiaramente non lo conosce abbastanza, frasi in una lingua incomprensibile, ma soprattutto ci sono i versi dello scrittore Juan Rulfo, declamati da Jaime Sabines.
Per darvi un’idea della confusione (ovviamente solo apparente) delle immagini, riporto un elenco molto parziale di ciò che si vede; pur essendo relativamente dettagliato non penso si possa configurare come uno spoiler in quanto non esiste una trama vera e propria, né protagonisti. Eccolo:
riprese circolari dello Zocalo con la camera probabilmente montata su una bici che continua a girare, flebo di Coca Cola, si caricano sacchi di farina su un camion e poi anche un uomo inanimato che poi diventa una donna e il facchino si accoppia sia con l’una che con l’altro, inquadrature fisse di campesinos che guardano in camera sullo sfondo di un paesaggio desertico, da una serie di preparazioni di hot dog si segue una lunghissima sfilza di salsicce che passa attraverso la città e infine viene usata come lenza alla quale abboccano varie persone che quindi emergono da uno stagno (vedi foto), vacche vere e non, tiro al bersaglio in una fiera con una mitragliatrice, macellazione di una vacca con una coppia che si bacia sullo sfondo, il giovane che ha macellato l’animale se ne carica sulle spalle un quarto che poi diventa la donna, poi l’uomo e ancora la donna, ...
C’è poi una lunga sequenza ambientata in un istituto religioso nella quale le parti dei protagonisti si invertono: bambine vestite da prima comunione su una giostra, vari preti in tonaca nera le guardano, i preti vista dalla giostra che ruota, ragazzini in tonaca nera giocano a pallone, altri penzolano mantenendosi con le mani sui tubi di una struttura metallica, alcuni preti sulla giostra e le ragazzine li guardano, una pallonata colpisce una tonaca e da sotto escono dei pulcini, un prete incide la corteccia di un albero un altro tenta di leggere senza riuscirvi, le bambine sono di nuovo sulla giostra, i preti penzolano dai tubi mentre i ragazzini mordono a sangue le loro mani e orecchie fino a farli cadere, i preti a terra morti. Fra le varie scene compare più colte la scritta “CENSURADO” su sfondo nero.
Si passa a vacche in un corral, entra un charro a cavallo, ne atterra una con un lazo e le lega le zampe; un professionista (in giacca, cravatta e con borsa) cammina velocemente su un marciapiede in città mentre lo stesso charro a cavallo lo segue e lo sorveglia, poi caccia il lazo, acchiappa l’uomo, lo lega e lo trascina. Aggiungete alcune papere che compaiono per pochissimi secondi, operai ingabbiati in strutture di tondini per calcestruzzo, polli spennati appesi, rumorosi macchinari industriali, tutti di fabbricazione straniera.
Sono sicuro di avervi convinto che una sola visione non basta.
Ho guardato anche “Magueyes”, molto più breve e anche di più facile interpretazione, almeno in generale e nell’immediatezza. In Messico maguey è il nome generico di tutti i tipi di agave, quindi sia di quelle usate per produrre tequila e pulque (Agave tequilana), sia quelle dalle quali si ottengono le fibre di sisal (Agave sisalana). Sul ritmo delle note di Dimitri Shostakovich, Rubén Gámez monta un’infinità di immagini di agavi, delle loro foglie, delle loro punte che a volte trafiggono le altre, piante intere, filari ripresi da tutte le distanze e da ogni angolo. Dopo questa “battaglia” fra le foglie si vedono i resti delle piante morte e infine i nuovi filari. Non c’è testo né didascalie, si tratta di un puro esercizio sperimentale di montaggio che combina diversi tipi di inquadrature con la musica. Questo lo trovate in rete su varie piattaforme.
Seppur di genere abbastanza diverso, mi sono molto piaciuti entrambi, ma certamente dovrò approfondire la lettura di “La fórmula secreta”.
Segnalo questo interessante articolo-analisi relativo a "La fórmula secreta"

 

355 “Hasta el viento tiene miedo” (Carlos Enrique Taboada, Mex, 1967) * con Marga López, Maricruz Olivier, Alicia Bonet  *  IMDb 7,6
Dopo l’ottimo “Rapiña” ho voluto guardare anche quest’altro film di Taboada, giudicato uno dei suoi migliori e da molti anche il miglior horror/fantasy messicano dell’epoca. In effetti in questo genere Taboada ha prodotto vari film fra i quali anche un altro molto conosciuto “El libro de piedra”.
Rispetto a quelli considerati classici, in “Hasta el viento tiene miedo” non ci sono effetti speciali né mostri, tende più al giallo con risvolti paranormali.
Interessante e ben costruito, si avvale anche della presenza della famosa attrice messicana Marga Lopez nei panni della terribile direttrice del collegio femminile, ma non è il mio genere ... ho apprezzato molto di più il già citato “Rapiña”.

 

354 “Rapiña” (Carlos Enrique Taboada, Mex, 1973) * con Ignacio López Tarso, Germán Robles, Norma Lazareno  *  IMDb 7,5
Un film che non ti aspetti, una sceneggiatura (dello stesso Taboada) che segue una progressione ben precisa. I due poverissimi boscaioli che vivono al mergine del pueblo, dove comincia la foresta, sono grandi amici e vanno a lavorare insieme, con i loro asini e le loro asce. Anche le mogli sono in ottimi rapporti e i 4 si aiutano come possono, condividendo il poco che posseggono.
Un giorno un avvenimento assolutamente inaspettato contagia con il “virus dell’avidità” Porfidio (ottimamente interpretato da Ignacio López Tarso), che a sua volta lo passa all’amico Evodio e neanche le loro mogli ne sono immuni. Qualcuno ogni tanto solleva qualche obiezione ma ben presto si adegua al pensiero comune. In un drammatico crescendo saranno vari i morti lasciati sul terreno fino alla resa dei conti nel deserto.
Un ottimo film del quale mi meraviglia non aver trovato remake, essendo una perfetta descrizione delle debolezze umane di fronte alla ricchezza improvvisa, adattabile ad ogni paese e cultura, in ogni epoca. Ho solo letto che è annunciata in Messico una nuova produzione con stessa sceneggiatura di Taboada, regia affidata a Andres Martinez-Rios, protagonisti Gustavo Sánchez Parra e Harold Torres.
Consiglio la visione di questo ottimo dramma; io l’ho guardato alla Cineteca Nacional ma ho visto che è disponibile su YouTube almeno in qualità 480p ... ovviamente in lingua originale.

 

353 “Fresa y chocolate” (T. G. Alea, Cuba, 1993) tit. it. “Fragola e cioccolato” * con Jorge Perugorría, Vladimir Cruz, Mirta Ibarra  *  IMDb 7,5 RT 88% * Nomination Oscar miglior film non in lingua inglese, 2 Premi e Nomination Orso d’Oro a Berlino
Senza dubbio il film di Tomás Gutiérrez Alea più conosciuto all’estero, primato insidiato (forse) solo da “Mamorias del subdesarrollo” sebbene per tutt’altri motivi.
“Fresa y chocolate” fornisce una visione molto particolare, senz’altro sconosciuta ai più, degli ambienti universitari dell’Havana di fine secolo scorso. I fermenti intellettuali, i motivi della rivoluzione non più al passo con i tempi, il resistere di preconcetti e limiti nei confronti degli omosessuali, sono fra gli argomenti tirati in ballo dal regista cubano.
Ben diretto ed interpretato, conta anche sull’ottima e articolata sceneggiatura di T. G. Alea e Senel Paz, adattamento del racconto di quest’ultimo “El lobo, el bosque y el hombre nuevo” (Il lupo, il bosco e l’uomo nuovo).
Più che consigliato.

 

352 “Museo” (Alonso Ruizpalacios, Mex, 2018) tit. it. “Folle rapina a Città del Messico” * con Gael García Bernal, Simon Russell Beale, Leonardo Ortizgris * IMDb 7,4 RT 85%
Orso d’Argento per la sceneggiatura, Nomination Orso d’Oro a Berlino
Sembra che sia l’anno dei film sui furti di opere d’arte ... dopo “American Animals”, ecco “Museo” (distribuito in Italia con l’ignobile fuorviante titolo “Folle rapina a Città del Messico”) che propone una versione molto adattata del famoso furto (non rapina) di oltre 100 pezzi pregiati dal Museo Nacional de Antropología (in effetti museo archeologico) di Città del Messico, la notte di Natale del 1985.
I fatti non andarono esattamente come descritto da Alonso Ruizpalacios in quanto i reperti tornarono al museo solo dopo 3 anni e mezzo e non dopo pochi giorni. Molto è stato aggiunto solo per far scena e la scelta di far interpretare a Gael García Bernal (40enne) uno dei due studenti di veterinaria (20enni) i è sembrata poco opportuna.
Il film ha i suoi momenti buoni specialmente nelle scene familiari nelle quali spicca Alfredo Castro, in qualche scena esterna e nelle varie riprese con camera a spalla. I rapporti e i dialoghi fra i due giovinastri rasentano il demenziale ma doveva pur essere vero che in fondo tanto geniali non dovevano essere.
Un film appena sufficiente che si lascia guardare per l’interessante soggetto (vero nell’essenza), non vedo meriti tali da giustificare l’Orso d’Argento per la sceneggiatura, me è pur vero che non so chi fossero i contendenti.

 

351 “En este pueblo no hay ladrones” (Alberto Isaac, Mex, 1964) tit. it. “In questo villaggio non ci sono ladri” * con Julián Pastor, Rocío Sagaón, Graciela Enríquez , Luis Buñuel * IMDb 7,3
C’è tanta cultura, di cinema e non, dentro questo film.
Nel 1964 il Sindacato del Cinema messicano organizzò un concorso di cinema sperimentale e Alberto Isaac e il critico cinematografico Emilio García Riera decisero di adattare un racconto “En este pueblo no hay ladrones” del loro amico Gabriel García Márquez, all'epoca sconosciuto al grande pubblico. Il racconto era stato pubblicato nella collezione “Los funerales de la Mamá Grande” (1962) e i tre insieme stesero la sceneggiatura. Per la realizzazione riuscirono a coinvolgere (a titolo gratuito) una quantità di amici artisti, scrittori e cineasti. Ve ne cito alcuni, fra i più conosciuti:
Luis Buñuel - anticlericale dichiarato, partecipò a condizione di avere il ruolo del prete ed è interprete di un lungo sermone.
Gabriel García Márquez - interpreta il bigliettaio del cinema
Arturo Ripstein - uno dei più stimati registi messicani, premiato quest’anno a Venezia, avrebbe esordito come regista 2 anni dopo con un adattamento di uno dei primi romanzi di Gabo: "Tiempo de morir"
Alfonso Arau - regista di “Come l'acqua per il cioccolato" (ma è stato anche attore in oltre 40 film), è l’agente di commercio della rissa finale
Emilio García Riera - critico cinematografico, co-sceneggiatore del film, interpreta l’esperto di biliardo
Carlos Monsivais - attore, giornalista e scrittore, grande collezionista. Nel Museo del Estanquillo vengono esposte a rotazione e per temi centinaia di dipinti, fotografie, giochi, marionette, modelli, album, calendari, manifesti, libri e memorabilia provenienti dalla sua collezione personale(attualmente ci sono 2 piani interamente dedicati al cinema de la Epoca de Oro).
José Luis Cuevas e Juan Rulfo (scrittori e sceneggiatori) e Ernesto García Cabral e Abel Quezada (famosi caricaturisti) interpretano gli avventori del biliardo e giocatori di domino.
Il film fu girato in appena 3 settimane con un budget molto ridotto, ma ottenne subito un buon successo. Per la cronaca, il concorso fu vinto da Rubén Gámez con il mediometraggio (42’, da un’idea di Juan Rulfo) “La fórmula secreta”, divenuta ben presto un cult pressoché introvabile.
L’ambiente è di quelli preferiti da Gabo, pueblo più o meno desolato, strade polverose e assolate, rapporti personali non sempre facili, al quale aggiunge un evento al limite del surreale, in questo caso qualcuno ruba il solo set di palle da biliardo (3, da carambola) e per rimpiazzarle ci vogliono varie settimane e tanti soldi ... il pueblo è sull’orlo della paralisi!
Si nota di certo il livello sperimentale, ma per i cinefili è un film da non perdere ... e apprezzate il “Buñuel cura”!

Per informazioni generiche, tecniche e recensioni  dei film consiglio di consultare i seguenti siti:

IMDb (Internet Movie Database) : il più completo, la Bibbia del Cinema, con archivio di 3.5mln di titoli e quasi 7mln di nomi (in inglese)

Rotten Tomatoes : meno dati di IMDb, raccoglie soprattutto recensioni in rete, quindi carente su film datati (in inglese, con numerose recensioni in spagnolo)

Film Affinity/es : trovo che sia il più completo per quanto riguarda film spagnoli e dell'AmericaLatina (in spagnolo)

Allo Ciné : sopratutto cinema francese, ma non solo (in francese)

 Upperstall.com  : specializzato in cinema indiano. uno dei più frequentati al mondo fra i siti che si occupano di cinema  (in inglese)

per ricevere o fornire informazioni cinematograiche potete scrivermi a giovis@giovis.com

     

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